Modena, 30 aprile 2020

DAGLI STATI DI EMERGENZA NON SI TORNA PIÙ INDIETRO

«Siamo stati spiati, soggiogati, trattati come delinquenti da un governo che in due mesi ha distrutto i nostri diritti fondamentali, naturali e costituzionali. Il Parlamento si è fatto sostituire dalla varie task force che hanno di fatto commissariato l’Italia alle lobby finanziarie mondiali. La militarizzazione diffusa e il bombardamento mediatico sono stati usati come mezzi di propaganda per condizionare le menti degli italiani, facendo leva sulla loro atavica paura di morire, e censurando chiunque osi alzare la testa e denunciare questi abusi»[1]. Con queste parole, il 24 aprile scorso la deputata del Gruppo Misto Sara Cunial, già espulsa l’anno scorso dal Movimento 5 Stelle per le sue posizioni risolutamente contrarie alla pratica vaccinale (che considera un “genocidio gratuito”), ha riassunto in modo efficace, da Palazzo Montecitorio, la Grande Messinscena del coronavirus, col suo contagio inesistente, la finta condizione di emergenza sanitaria e la sua precisa funzione politica.

Purtroppo, questo abuso perpetrato ai danni delle persone del mondo intero, per quanto denunciato persino dai banchi dell’Istituzione italiana più esautorata di tutte (il Parlamento), rappresenta solo l’inizio della china, non la sua fine.

Ora che il Potere Sanitario Mondiale ha potuto verificare sul campo la propria forza d’intervento, testando la sua incontrastata capacità di condizionamento psicologico delle masse e prendendo atto dell’infinita disponibilità delle stesse a sopportare qualsiasi tipo di pressione, compresa la totale sospensione della loro libertà protratta nel tempo, arriva la Fase 2: “la convivenza con il virus”. Mentre i dati sulla diffusione del coronavirus continuano ad essere in crescita e la curva epidemiologica prosegue la sua salita al ritmo di circa 2.000 positivi in più al giorno (per un totale che ha superato l’altro ieri le 200.000 persone), la Parola del governo, che da tempo assicura che le misure anti-contagio stanno invece facendo il loro effetto, dice che il pericolo del contagio non è più un pericolo e che è possibile rimettere in moto la Grande Macchina che sta portando il Pianeta al collasso e noi stessi al collasso.

Avanti dunque con la produzione, ha annunciato il Premier anticipando il contenuto del suo solito DPCM domenicale (quello del 26 aprile scorso) che entrerà in vigore il 4 maggio prossimo. Avanti con la produzione, non con la vita della gente! La gente non è così importante. Ormai dovremmo averlo compreso. Quel che conta nel mondo in cui viviamo non sono le persone, ma il Sistema: è il Progresso, lo Sviluppo, l’innovazione tecnologica, la Rete, l’energia; non certo l’amore, l’amicizia, le relazioni, la capacità d’immedesimarsi negli altri, il buon senso, il buon cuore. Dunque, prima delle persone e dei loro bisogni, è il Sistema che occorre riattivare. Del resto, la gente, trasformata già da un po’ in massa passiva di consumatori, come potrebbe essere “rimessa in moto” se prima non venga riattivata la produzione? Come potrebbe vivere senza poter comprare nulla e consumare nulla? Pertanto, tutti coloro che, ingenuamente o per ostinata fedeltà al governo, abbiano avuto l’ardita idea di pensare che la convivenza con il virus sarebbe stata l’annunciata fase della piena ripresa della loro esistenza quotidiana, si ricredano e attendano il loro turno (del resto non dovrebbero avere più problemi a rimanere in fila!). Per la “riattivazione” della vita della gente, e cioè di tutti noi sudditi ufficialmente consacrati, ingranaggi del Sistema utili solo a far andare le macchine e a sostenere l’economia, si dovrà attendere ancora un poco. Quanto? L’unico capace di rispondere a questo interrogativo sembra essere Samuel Beckett, col suo Aspettando Godot.

Infatti, per chi fosse ancora convinto, sempre per ingenuità o ostinata fede verso le Istituzioni della civiltà, che la Fase 3, quella della fine dell’emergenza, sarà la ripresa della propria vita così com’era prima, si prepari all’ennesima delusione. La vita com’era prima non sarà più possibile: è finita, bandita, posta in solaio assieme all’altra roba vecchia che non serve più.

Naturalmente, questo non significa che noi tutti, una volta rimessi al lavoro, ammansiti da un’incombente campagna televisiva di distensione, vaccinati di tutti punto e chiamati alla responsabilità sociale d’indossare mascherine, guanti in lattice, giubbetti anti-proiettile, scarpe anti-contagio nucleare, scafandro, bombola di ossigeno e distanziamento sociale, non si possa tornare fuori. Significa solo che, come dice da settimane il mio amico anarchico Gino Ancona, dopo la svolta dittatoriale attuata con la scusa del coronavirus “il problema per tutti non sarà tornare fuori, ma andare dentro”.

In effetti, con la smartellata inaudita ai diritti di libertà che il Regime Sanitario ha dispensato a tutti, ora sappiamo che, esattamente come in Cina, ogni soggetto non è più un individuo dotato di diritti inviolabili, ma un suddito da governare. Potrà dunque in qualsiasi momento essere preso di forza dalle autorità e portato chissà dove senza che la cosa desti più alcun scalpore, alcuna preoccupazione, alcuna indignazione popolare. Al governo basterà giustificare questo sequestro con banali ragioni sanitarie, e tutto risulterà “normale”. “Prima la salute”, ripete continuamente il Premier Conte. Vuole dire: “prima di ogni altra questione, viene la salute pubblica (e cioè quella stabilita dal Comitato di Salute Pubblica)”. Dunque la salute (pubblica) viene prima dei diritti umani, prima della dignità umana e prima dei princìpi di inviolabilità della persona che un tempo, almeno fino al lontano gennaio 2020, inneggiavano negli articoli d’apertura delle costituzioni democratiche dei Paesi occidentali costituendo ancora la base d’appoggio della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. Debellata anche quest’ultima dalla guerra contro il coronavirus, ora giace pure lei in solaio, assieme alla nostra vita-come-era-prima. Dalla Dichiarazione Universale dei diritti umani a quella dei poteri dittatoriali del Regime Sanitario, la logica che pervaderà il nostro sentire da qui in avanti sarà quella della rassegnazione. Perché è ovvio che, da questo momento in poi, tutti sappiamo che chi “andrà dentro” sarà veramente dentro (a un mare di guai) senza nessuna possibilità di appello. Proprio com’è capitato, il 12 aprile scorso, giorno di Pasqua, all’avvocatessa tedesca Beate Bahner (di Heidelberg), stimata esperta di diritto sanitario e già oggetto in passato di alcune onorificenze per il suo impegno professionale[2]. Purtroppo, questa volta la giurista l’ha fatta davvero grossa: dopo aver protestato da mesi contro l’illegittimità delle restrizioni personali adottate dal governo tedesco causa coronavirus, ha redatto un rapporto di 19 pagine nel quale ha spiegato dettagliatamente perché quelle misure sarebbero del tutto incompatibili con la Costituzione tedesca e in flagrante violazione pure della legge sul controllo delle epidemie. Così, nella notte tra Pasqua e Pasquetta, è stata sequestrata dalle autorità tedesche e rinchiusa in un ospedale psichiatrico (La notizia è stata riportata nella serata del 13 aprile dal quotidiano Rhein-Neicker-ZeitungRNZdella regione tedesca del Baden-Württemberg, e poi da lì diffusa in vari paesi)[3].

C’è qualcuno che ha ancora qualche dubbio sul fatto che siamo in dittatura?

Quando il cardiologo svizzero Thomas Binder, che da settimane denunciava la gestione della crisi da COVID-19, la sera dell’11 aprile scorso ha guardato fuori dal suo ambulatorio, ha immediatamente denunciato su facebook ciò che di allucinante stava vedendo: “Davanti al mio studio medico c’è un gruppo di agenti di polizia in stile sudamericano, sarò arrestato!”[4]. Così è stato, e di lui non si hanno più notizie. Il giornale tedesco Argovia Zeitung ha confermato questo arresto, specificando che la strada in cui vive il dottore è una strada chiusa e che il medico è stato internato in psichiatria[5].

Se l’anarchico Giuseppe Pinelli, trattenuto illegalmente nei locali della Questura di Milano successivamente alla strage di Piazza Fontana, poté uscire da quei locali solo dopo essere stato ammazzato e poi gettato dalla finestra per simulare un suicidio, ora per le autorità che custodiranno l’ordine sociale nel mondo governato dalla Scienza non ci sarà nemmeno più bisogno di simulare nulla: per ottenere applausi di consenso dalle folle inebetite dalla propaganda televisiva, basterà appunto spiegare a reti unificate che il “poveretto” era malato e che le premurose, accoglienti, affettuose autorità sanitarie si sono spese fino all’inverosimile per salvargli la vita, ma purtroppo non c’è stato niente da fare. Al peggio, non ci sarà nemmeno bisogno di spiegare nulla. In Scientocrazia siamo tutti potenziali desaparecidos.

D’altra parte non è forse quello che è già accaduto anche in Italia, a febbraio scorso, ai detenuti morti durante la rivolta contro il primo DPCM del Premier Conte che vietava il diritto di visita dei familiari in carcere? Migliaia di detenuti, in almeno 27 istituti penitenziari di tutta Italia (da Modena a Foggia, da Rieti a Siracusa, da Pescara ad Avellino, da Genova a Palermo, da Trieste a Venezia, da Rebibbia a San Vittore) si sono ribellati alle restrizioni governative, e le sommosse sono state represse nel sangue: almeno 12 i detenuti morti[6]. Ebbene, la notizia di queste morti è stata riportata dai giornali in questo modo: “Devastante il numero dei detenuti morti per overdose in due giorni nelle carceri in balia delle rivolte innescate dai provvedimenti anti coronavirus”[7]. Morti per overdose???… Cosa c’entra la droga???… C’entra, c’entra… perché è proprio questa la versione ufficiale fornita dalla stampa di regime: “Durante la rivolta [di Rieti, N.d.R.], com’era avvenuto il giorno prima a Modena – ha scritto ad esempio Il Messaggero –, i detenuti si sono impadroniti dei farmaci dell’infermeria e ne hanno abusato dopo aver devastato i locali. Stamattina la scoperta dei decessi, dopo i 7 morti fra i detenuti del Sant’Anna in Emilia”[8]. Capito? La rivolta dei detenuti, ufficialmente dichiarata come risposta al decreto anti coronavirus di Conte, in realtà è servita ai detenuti solo per assaltare l’infermeria e assumere psicofarmaci fino alla morte. Semplice, no? Nessuna autopsia, nessuna indagine, nessun dubbio: desaparecidos. Ovviamente, le foto dei detenuti sui tetti degli istituti penitenziari, con le braccia alzate in segno di libertà, in realtà volevano dire: “ora che abbiamo rubato tutti gli psicofarmaci possiamo finalmente drogarci fino all’overdose”.

Per la cronaca, lo Stato Sanitario non si è nemmeno preso la briga di fingere un’indagine, un apparente interessamento, una formale apertura d’inchiesta giudiziaria da chiudere poi subito con tanto di sigillo di garanzia e promozione per gli assassini. Come si diceva, sotto il governo della Scienza nessuna spiegazione è necessaria, nessuna giustificazione e, soprattutto, nessuna domanda da parte di nessuno e nessuna protesta. Tutto ok: signori e signori, benvenuti in Scientocrazia!

A dire il vero, gli organi giudiziari non sono stati del tutto con le mani in mano, e delle indagini su quel che è accaduto nelle carceri in rivolta sono state aperte: contro i detenuti! Come ha riportato la giornalista Manuela d’Alessandro per l’AGI, «Anche a San Vittore, Milano, sembra essere tornata la calma dopo gli incontri tra i rappresentanti dei “ribelli” e i magistrati, tra i quali il PM Alberto Nobili che ha comunque avviato un’indagine per devastazione, saccheggio e resistenza, al momento a carico di ignoti in attesa di identificare chi ieri abbia distrutto parti del carcere, mentre alcuni manifestavano sul tetto esponendo gli striscioni con le scritte “Indulto” e “Libertà”»[9]. (Slogan che vanno ovviamente interpretati così: “Indulto” dalla pena dell’astinenza da psicofarmaci e “libertà” di drogarci fino all’overdose!).

La censura, che oggi non opera soltanto attraverso l’oscuramento di tutti i video passati per YouTube che contraddicano l’OMS, come ha candidamente ammesso l’amministratrice delegata della società Susan Wojcicki[10] (a chi ancora s’illude che la Rete sia libera, prenda nota), o attraverso la rimozione del contenuto di tutti i video su YouTube che colleghino il coronavirus al 5G (come riportato dall’ANSA)[11], agisce anche grazie al definitivo asservimento della carta stampata alla logica della propaganda di regime. Tutto come in dittatura.

Il fatto è che, com’è stato opportunamente osservato, il modello politico di reazione istituzionale alla Grande Messinscena coronavirus è ripreso fedelmente da quello cinese: e cioè da quello di “una dittatura patriarcale che sorveglia e controlla i movimenti di ogni persona e punisce ogni trasgressione delle regole ordinate dalla élite comunista-capitalista. La chiusura di città con milioni di abitanti può essere realizzata, come misura del fattibile, solo in un sistema totalitario talmente efficiente. La Cina con il suo coprifuoco totale durato 60 giorni (per esempio a Wuhan) e il suo controllo delle persone è diventata immediatamente modello di un (presunto) contenimento della pandemia per i governi di quasi tutto il mondo. All’inizio di febbraio queste misure venivano ancora giudicate come totalitarie e lesive dei diritti dell’umanità. Ora sono state trasferite anche nelle altri parti del mondo”.

Il tracciamento tecnologico di tutti i dati e la geolocalizzazione satellitare di tutte le persone e dei loro spostamenti, per esempio, simpaticamente definito all’americana come contact tracing, è un sistema già studiato e messo in pratica nel mondo attraverso app da installare sullo smartphone. Sarà presto istituito anche in Italia. E il buon Colao, con la sua personale esperienza di manager della Vodafone, sta sicuramente lavorando anche a questo.

In Cina, il sistema di tracciamento già adottato si chiama Health Code ed è integrato alle applicazioni Alipay (il sistema di pagamento Alibaba) e WeChat (il WhatsApp cinese). Ad ogni cittadino è stato assegnato un QR code (codice sanitario elettronico) che prevede tre possibili colori: verde, giallo, rosso. In ogni suo spostamento il cittadino ha l’obbligo di scansionare il QR code: per entrare in un negozio e per uscirne, per esempio; per entrare nella metropolitana e per uscirne; per salire sull’autobus e per scenderne. Se il codice è verde, via libera; altrimenti, stop[12].

Alla fine della giornata, grazie agli spostamenti tracciati della persona e all’integrazione di questo sistema tecnologico di controllo sociale con altri (videosorveglianza, termos-cam per misurare la temperatura corporea, acquisti eseguiti digitalmente, eccetera), le autorità sono in grado di conoscere ogni movimento di ogni soggetto: dov’è stato, per quanto tempo, in che condizioni di salute e con chi. Se si dovesse scoprire che un individuo positivo al COVID-19 (codice rosso) è entrato in contatto con altri, o è semplicemente stato nello stesso posto e nello stesso momento con altri, il codice di queste ultime persone diventerà immediatamente giallo e scatterà per loro l’obbligo di rimanere a casa o di andare in ospedale[13].

In Corea del Sud, che assieme alla piccola città-stato di Singapore si è immediatamente attivata per applicare il modello cinese di controllo sociale, il governo ha imposto l’uso di sistemi tecnologici multipli di contact tracing: la app chiamata Corona 100m traccia gli spostamenti in maniera tale da poter capire dove si sono mosse le persone, con chi sono entrate in contatto, per quanto tempo e che attività abbiano svolto; una seconda app, chiamata Corona100, incrocia i dati di geolocalizzazione dell’utente con quelli forniti dal governo e con quelli di videocamere di sicurezza dando vita di fatto a un sistema di sorveglianza totale dei cittadini[14].

A Singapore, si sta usando una app chiamata TraceTogheter, un sistema di tracciabilità delle persone interamente basato sul bluetooth degli smartphone privati, il quale prevede il salvataggio dei dati acquisiti all’interno del dispositivo garantendo un controllo capillare dei movimenti di ogni cittadino sul territorio nazionale.

La Germania pare ispirarsi al sistema di tracciabilità della Corea del Sud[15].

A Boston la app in utilizzo si chiama PrivacyKit e, col solito rivolgimento di significato tipico da neolingua orwelliana, è un kit che la privacy la uccide del tutto. Prevede anch’essa la geolocalizzazione e l’uso del bluetooth: la app registra tutti gli spostamenti e, ogni cinque minuti, li salva nella memoria del cellulare[16]. Chiunque si trovi costretto ad andare in ospedale, esibisce il complesso delle azioni della sua vita e il gioco è fatto! Viva la libertà… sorvegliata, avrebbe detto Orwell.

Quella che il giornalista Marco Lupis ha definito “la terapia ‘zero-privacy’ per combattere l’epidemia”[17] si sta dunque diffondendo rapidamente in tutto il Pianeta, molto più del coronavirus, e a macchia d’olio come s’è diffuso anche il sistema di sospensione di tutte le altre libertà personali: coprifuoco, divieto di spostamento, militarizzazione del territorio, “tamponamento” a tappeto della popolazione.

La tracciabilità, priorità al vertice delle agende di tutti i governi del mondo, non è dunque più un sistema ubiquo e abusivo d’invasione della libertà dei cittadini, ma una necessità di Salute Pubblica! Non è forse questo un esempio chiaro di cambiamento dal quale non si tornerà più indietro?

Come nella Tokyo del 2112 descritta da Gen Urobuchi nel suo distopico light novel Psyco-pass, nella quale ogni disposizione psicologica dei cittadini veniva monitorata tecnologicamente e il superamento di un certo “coefficiente di criminalità” attivava una Squadra Speciale di Esecutori della Polizia che ricercavano il soggetto indiziato per renderlo innocuo mediante il colpo di una speciale pistola chiamata Dominator (che stordiva chi presentasse un coefficiente medio e uccideva chi lo avesse elevato), anche le Squadre Speciali di Esecutori della società terapeutica del mondo attuale possono già oggi tracciare la vita delle persone, stabilirne il relativo coefficiente di “contagiosità” e rendere innocuo chiunque venga considerato un pericolo per il bene comune. Alla faccia della Riservatezza, della Dignità umana, della Libertà.

La vita, così com’è stata prima della Grande Messinscena Mondiale del coronavirus non tornerà più. Dagli stati di emergenza non si torna più indietro!

E questo, purtroppo, vale per tutto:

  • vale per l’irreggimentazione sociale;
  • vale per gli aspetti giuridici e di repressione individuale che vengono adottati dagli Stati;
  • vale per la nostra salute;
  • vale per la nostra sensibilità manipolata e stravolta dalle condizioni di terrore suscitato.

Quanto all’irreggimentazione sociale, la vita che uscirà dalle restrizioni totalitarie imposte dal Potere Sanitario Mondiale, sarà sempre più reclusoria, sempre più soggetta a controllo sociale diffuso e sempre meno ispirata alla riservatezza. In fondo, la Rete e l’uso dei relativi dispositivi digitali (smartphone, PC, iPad, iPod) ci avevano già educato alla soggezione verso il controllo sociale totale. L’attuale giro di vite, che accelera di una decina d’anni l’andamento della repressione nella società dell’interconnessione, rende solo un po’ più traumatico l’adeguamento della popolazione alle nuove direttive di soggezione.

Quanto agli aspetti giuridici e di repressione individuale, tutti sappiamo che la normativa d’emergenza, una volta approvata dagli Stati non viene più revocata. Quella entrata in vigore in America in occasione dell’11 settembre 2001, ad esempio, regola ancora oggi la vita delle persone: Guantanamo c’è ancora, così come il Patriot Act. Stessa identica cosa per la cosiddetta Legge Reale approvata in Italia negli anni Settanta del Novecento per sconfiggere il terrorismo: perfettamente vigente ancora oggi.

Quanto agli aspetti della nostra condizione psico-fisica, se dal 2017 la Salute non è più una condizione di esclusiva competenza del soggetto umano ma appunto un bene comune che è la legge dello Stato a gestire, organizzare, trattare (anche eventualmente contro la volontà del soggetto), quell’obbligo vaccinale che fino a ieri riguardava i minorenni, da domani potrà essere esteso a tutti: “l’affare del secolo”, come ha definito la vaccinazione mondiale forzata di massa il nanopatologo Stefano Montanari, si profila dunque all’orizzonte del popolo “gregge” che ancora confida nell’immunità. Del resto, la vaccinazione mondiale forzata di massa è parte di un programma globale previsto per il 2030: si chiama Immunization Agenda 2030: una strategia globale per non lasciare indietro nessuno, e si trova riportato sul sito dell’OMS: «L’immunizzazione è una storia di successo globale per la salute e lo sviluppo, […] è il fondamento del sistema sanitario primario e un diritto umano indiscutibile. È anche uno dei migliori investimenti sanitari che il denaro possa comprare. Eppure, nonostante gli enormi progressi, troppe persone in tutto il mondo – tra cui quasi 20 milioni di neonati ogni anno – hanno un accesso insufficiente ai vaccini. In alcuni Paesi i progressi si sono bloccati o addirittura invertiti […]. Con il sostegno dei paesi e dei partner, l’OMS sta guidando la co-creazione di una nuova visione e strategia globale per affrontare queste sfide nel prossimo decennio […]. L’Immunization Agenda 2030 prevede un mondo in cui tutti, ovunque, ad ogni età, beneficino pienamente dei vaccini per migliorare la salute e il benessere»[18].

Quel panico procurato dalla Grande Messinscena Mondiale del coronavirus, e che il bioingegnere Ayyadurai Shiva, rispondendo a un’intervista di Gary Franchini di Next News Network, ha dichiarato che «passerà alla storia come una delle più grandi frodi per manipolare l’economia, sopprimere il dissenso e spingere per rendere i farmaci obbligatori»[19], serve anche a favorire il programma della Immunization Agenda 2030.

D’altra parte, se anche l’obbligatorietà vaccinale non dovesse essere affermata direttamente, lo sarà prima o poi indirettamente. Proprio come ha denunciato lo stesso Shiva: «Diranno: “Oh Gary! Sai che la tua patente sta per essere rinnovata? Hai fatto tutti i vaccini?”… Non puoi viaggiare, non puoi prendere il treno, l’autobus, non puoi andare in palestra… Questa è la direzione, e la tua palestra dirà: “Non possiamo permetterti di entrare, Gary, non vogliamo fare male a tutte le altre persone, giusto?”»[20].

Quanto infine agli aspetti interiori della nostra sensibilità, gli stati d’emergenza restano impressi in maniera indelebile dentro di noi, modificando per sempre abitudini, modi di vedere le cose, sentimenti, emozionalità. Gli aspetti più intimi e psicologici del nostro essere non torneranno più a manifestarsi come prima, a irrorarsi della stessa attenzione, a esprimersi e a sensibilizzarci allo stesso modo di allora. Penso, ad esempio, alla nuova forma mentis acquisita a seguito dell’imposta distanza sociale che saremo indotti a tenere per sempre; penso a quella derivante dalla cultura del sospetto che ci hanno impresso nell’animo; penso all’amore, ormai condizionato anch’esso alla certificazione di salubrità. E penso anche al nostro perduto senso della dignità e della libertà, ossia a come ci percepiremo in futuro rispetto all’autorità.

A quest’ultimo proposito, se due mesi fa un agente di polizia ci avesse fermato per strada e nel controllare i documenti ci avesse chiesto dove stessimo andando, gli avremmo risposto indispettiti che quelli erano fatti nostri, che non avremmo dovuto rendere conto a lui dei nostri spostamenti e che lui avrebbe solo dovuto controllare la regolarità dei nostri documenti per poi lasciarci andare. Da due mesi a questa parte le cose sono state stravolte, e resteranno così: la richiesta giustificazione, che rimanga obbligatoriamente scritta (mediante autocertificazione) o – com’è ovvio – divenga orale (come da interrogatorio in questura), non sarà da noi più ritenuta un abuso dell’autorità, una violazione del nostro inviolabile diritto alla libertà.

Vale lo stesso per la nostra percezione della vita di relazione. Se fino a due mesi fa colui che lavorava nonostante l’influenza o scendeva in campo per una prestazione sportiva nonostante la febbre alta era visto come un valoroso combattente, un coraggioso modello da imitare se non addirittura un eroe, oggi è invece considerato un irresponsabile capace solo di mettere in pericolo la Salute Pubblica.

Anche fare l’amore non sarà più uguale; sempre se ritorneremo a fare l’amore…

Persino starnutire non sarà più la naturale e inavvertita conseguenza di una reazione organica, ma un attentato alla vita delle gente da punire con severità in tutti i casi di mancato rispetto delle rigorose precauzioni igieniche che il DPCM del 26 aprile scorso ha messo nero su bianco. Che sono poi le stesse stupidaggini che, un tempo, campeggiavano nei corridoi dei reparti degli ospedali. Ora che Il mondo è stato trasformato in un Grande Ospedale, sono diventate legge per tutti. E, in quanto legge, ci cambiano e ci trasformano irrimediabilmente. Lo spettacolo desolante in cui nonne terrorizzate dalla presenza altrui, rifiutano d’incontrare e di baciare le proprie nipotine per non prendere il coronavirus, è di una tristezza tale che descrive da sola, perfettamente, l’immiserimento di una vita trasformata dagli stati di emergenza.

Perché gli stati di emergenza, cambiano appunto la nostra percezione delle cose e c’immiseriscono, ci strappano di dosso quel briciolo di umanità che la tecnologia non era ancora riuscita a diserbare, e ci lasciano nella condizione di una sempre maggiore disumanità. Entrano dentro di noi fin nei recessi più reconditi della nostra psiche, sbaragliano sentimenti e affetti, creano barriere insormontabili, chiusure emotive irrecuperabili e ci mettono in posizione di maggiore vulnerabilità verso tutto ciò che l’autorità stabilirà essere un pericolo: sia esso un potenziale attacco militare di Bin Laden o un colpo di tosse di qualcuno. Proprio per questo, gli stati di emergenza ci rendono più timorosi, più docili, più facilmente plasmabili dalla propaganda di regime e dunque più inermi. Insomma: più accondiscendenti verso l’autorità e meno favorevoli a difendere noi stessi e agli altri.

Prendiamo il problema della delazione.

Ancora una volta non si tratta di una novità. Come ho provato a considerare altrove, «Un tempo essere spioni era un’infamia, e c’erano epiteti molto denigranti che sottolineavano quanto l’azione dello spione fosse socialmente disprezzata: delatore, sicofante, informatore, venduto, traditore, infame (appunto). […] Invece, da quando lo spione è diventato un “agente speciale” (uno “007”) assumendo le sembianze di un prestante rubacuori da seguire ammirati nelle sue avventurose vicende sexy e professionali insieme, […] il Capitale […] ha saputo conciliare i suoi fedeli cittadini anche con questa attività, sdoganandola. Ai nostri giorni uno spione governativo non è più uno spione, ma un agente segreto o, ancor meglio, un operatore dell’Intelligence. Un infiltrato, invece, e cioè una persona che s’introduce in un’organizzazione politica per raccogliere informazioni e riferirle alle Forze dell’Ordine, non è più un agente provocatore, ma un agente sotto copertura. […] Il fatto che la Rete abbia accelerato il processo di questa beata fidelizzazione della gente alla “logica della soffiata”, fino a renderla appunto un’attività esercitata pacificamente da tutti e contro tutti, sta nell’ordine della degenerazione delle cose portata dalla società digitale. Agenti in borghese di una vera e propria ondata di popular spying (lo spionaggio liberalizzato), con la massima nonchalance c’infiliamo [coi nostri device] nell’intimità delle persone (care o sconosciute) per sapere e riferire, per indagare e controllare, per guardarle di nascosto e rivelarne a qualcuno i segreti»[21].

Nella misura in cui la società digitale ci ha trasformato in tanti spioni che raccontano i fatti propri e altrui sotto l’occhio vigile della sorveglianza elettronica che vede tutto, sente tutto e poi usa tutto contro di noi (per cercare di orientarci politicamente, per cercare di venderci merci che non ci servono, per farci esultare quando ce ne sarà bisogno o piangere allo stesso modo comandato), con l’emergenza coronavirus il processo di trasformazione delle persone da spioni a ufficiali “collaboratori di giustizia” è completato.

Da oggi i trasgressori degli ordini del Potere Sanitario non rischiano più soltanto di essere perseguiti dalle forze di polizia, ma anche dalla psico-polizia dei comuni e zelanti cittadini che si preoccupano della Salute Pubblica. Una prassi delatoria che, come in 1984 di George Orwell, contribuirà a preservare un formale ordine sociale solo a scapito della totale perdita di ogni capacità relazionale delle persone, che saranno sempre più preda di una maggiore paura dell’altro, di una maggiore diffidenza verso l’altro e di una sempre più radicata inettitudine a ricostruire quel tessuto di solidarietà umana, sociale e politica che ha invece sempre garantito alle popolazioni di tutti i luoghi di difendersi dagli abusi di governi e poteri forti.

Perché gli stati di emergenza, ancora più delle contese belliche (che uno spirito di vicinanza rafforzano tra la gente disarmata), spingono solo in una guerra di tutti contro tutti che rende tutti un po’ più abbruttiti, tutti un po’ più deboli verso il potere, tutti un po’ più addomesticati. In una parola sola: tutti un po’ più schiavi.

In questa Grande Esercitazione da Emergenza Civile organizzata a livello mondiale, ci stiamo preparando a vivere in un nuovo tempo in cui il concetto di “emergenza”, appunto, non sarà più una parentesi deprecata all’interno di una condizione di normalità, ma l’espressione psicologica e politica di uno “stato permanente”. Uno stato in cui, appunto, non conteranno più le costituzioni repubblicane, i diritti di libertà sanciti da codici ed emendamenti, né le Dichiarazioni universali dei diritti umani; ma solo la paura, la delazione, la schiavitù resa sistema democratico ufficialmente accettato e il potere di chi dirigerà la repressione.

È vero: anche prima del coronavirus nessuno di noi era libero. Un sistema opprimente che sovrasta tutti, da diecimila anni ci riduce a suoi tasselli intercambiabili di funzionamento. Attraverso la Famiglia, l’Educazione, la Scuola, la Religione, la Società, il Lavoro, la Scienza, la Tecnologia, la Paura, la Cultura, L’Economia, il Denaro, l’Intrattenimento, il Consumo veniamo tutti progressivamente indotti, senza nemmeno accorgercene, a ripetere lo stesso giuramento che, fino alla caduta del Comunismo sovietico, i piccoli bambini dell’URSS erano costretti prestare in coro alle autorità: “Io, giovane pioniere dell’Unione Sovietica, giuro solennemente davanti ai miei compagni di amare appassionatamente la mia patria sovietica, di vivere, studiare e combattere come insegnava il grande Lenin, e come insegna il partito comunista”[22]. Se al posto di “Unione Sovietica”, “patria” e “partito comunista” mettiamo il termine “civiltà”, e sostituiamo Thomas Hobbes a Lenin, otteniamo il giuramento  implicito che ognuno di noi è chiamato a prestare oggi al Sistema tecno-industriale in cui viviamo.

Siamo prigionieri. Da diecimila anni siamo prigionieri di questo universo tossico e marcescente che chiamiamo civiltà: siamo prigionieri dei suoi ricatti economici; dei suoi ordini di servizio; della sua autorità; dei suoi valori passati per assoluti, delle sue montature (come quella in atto). E siamo prigionieri anche dei suoi piccoli vantaggi collaterali che ci tengono in pugno, delle sue false comodità che ci ammaliano e ci ammansiscono, dei suoi tanti diversivi che ci distraggono dalle condizioni terribili in cui viviamo.

Rinchiusi in ambienti sempre più claustrofobici anche se liberalizzati nello sfogo, dentro a scatole serrate a quattro mandate (le nostre case), esse stesse confinate in recinti (le nostre città) a sua volta comprese in mandamenti non liberamente sormontabili (le nazioni coi loro confini), siamo costretti a un’esistenza imprigionata: immersa nel cemento, deturpata nell’ambiente naturale circostante e intossicata nell’aria, nell’acqua, nella terra, nel cibo, nei rapporti umani.

Da diecimila anni non siamo più animali liberi e selvatici, ma bestie in cattività costrette a vivere in gabbia: una gabbia dalle inferriate invisibili, certo; ma che tutti in cuor loro riconoscono e sentono. Tuttavia, essere prigionieri non significa essere schiavi.

Lo schiavo non è soltanto un prigioniero, ma un prigioniero che elogia la sua prigionia. Mentre il prigioniero riconosce il proprio stato di restrizione, non lo eleva a condizione desiderata solo perché “addolcito” da qualche beneficio, e resta pertanto animato dalla prospettiva di liberarsene, lo schiavo considera necessaria e persino conveniente la propria condizione di detenzione: la giudica migliore di qualche altra prigionia e la difende contro chiunque intenda togliergliela. Come dice il regista Silvano Agosti: “il vero schiavo difende il padrone, mica lo combatte; perché lo schiavo non è tanto quello che ha le catene al piede, quanto quello che non è capace di immaginarsi la libertà” [23].

I governi, tanto più quelli dittatoriali, agiscono proprio per farci progressivamente perdere la capacità di immaginarci la libertà. E gli stati di emergenza accelerano questo processo facendoci voltare pagina rispetto al passato, così da scordare le condizioni precedenti e riducendo al minimo gli spazi per poter preservare nel cuore la libertà e rivendicarla. Ecco perché gli stati d’emergenza vengono ciclicamente invocati e usati. Ecco perché il Potere Sanitario Mondiale sono anni che prova a imporne uno di ordine infettivo globale: nel 2009 con l’influenza suina; nel 2006 con l’influenza aviaria; nel 2003 con la SARS; persino nel 2001, dopo l’11 settembre, con la paura di un attacco terroristico battericida. Oggi, con l’influenza coronavirus il risultato è finalmente riuscito: la messinscena ha dato i suoi frutti e ottenuto il suo successo. Queste Prove Tecniche di soggezione della popolazione mondiale, dunque, non finiranno più: per quanto ci sarà ovviamente consentito riprendere una vita apparentemente come prima, essa come prima non lo sarà più. La libertà non è una concessione, e l’apparenza non è la realtà.

La consapevolezza che dagli stati di emergenza non si torna più indietro, è una consapevolezza politica. Prima farà capolino nei nostri cuori, prima avremo la possibilità di difendercene, evitando appunto di trasformarci da prigionieri (in procinto di evadere) in schiavi (che abbelliscono la loro cella). La vita libera non è nel miglioramento del mondo così com’è, ma in una vita di nuovo all’aria aperta, fuori dalla gabbia. Riabilitare un’esistenza sempre più naturale invece che rafforzare una artificiale resa succube dalla tecnologica, dalla scienza, dall’economia, dalla paura, dalla simbologia, dal potere. Riabilitare un’esistenza all’insegna dei rapporti umani e non di quelli formali e burocratici. Riabilitare una vita immersa nell’amore e non nella diffidenza, nel sospetto, nell’interesse personalistico, nello scambio equivalente e nel potere. Per chi rifiuterà di comprendere che la felicità umana non è in un mondo migliore, ma in un mondo diverso (libero e selvatico), la progressiva trasformazione da prigionieri a schiavi resterà a segnare il destino tragico cui spinge sempre ogni illusione: religiosa o laica che sia. E a chi resterà testardamente credente nella civiltà, nei suoi valori, nelle sue categorie, nei suoi processi pervasivi che colonizzano la vita di tutti, non avrà scampo: lo sconcerto tracimerà presto o tardi nel suo cuore, così come il senso d’impotenza, la depressione, la fine di ogni sensibilità. E più questi segnali di sofferenza saranno repressi e impossibilitati ad affiorare in superficie, più la società terapeutica sarà in grado di stravolgere il senso delle cose, facendo passare quegli individui sofferenti come malati, come inadatti a vivere nel mondo strabiliante che gli viene preparato. In questo modo, invece d’indirizzare tutte le nostre energie vive nell’opporci alle condizioni insopportabili di questo universo insopportabile, saremo noi stessi i primi a credere di essere “strani”, di essere “diversi”, di essere appunto “malati” e di aver bisogno delle cure di un parroco-scienziato che ci conforterà su quanto penoso sia vivere su questa terra, e su quanta rassegnazione dovremmo ancora aggiungere per arrivare al fine-pena di una vita trascorsa senza mai essere vissuta.

Dagli stati di emergenza non si torna più indietro; si può solo saltare fuori!

Per chi dimenticherà la vita com’era prima del coronavirus, tutto lo strazio di un’esistenza perduta risuonerà solo come un ulteriore vuoto inspiegabile da riempire, destinato quindi a produrre nuova frustrazione che si crederà di poter placare con l’acquisto di nuove cose, di nuovi servizi, di nuove carriere, di nuove illusioni. E sarà il sistema produttivo a vincere ancora una volta su di una vita sempre più infelice e spenta. Ma ancor peggio sarà per tutte le future generazioni che non avranno potuto sentire un mondo “com’era” per distinguerlo da un mondo “com’è” (e “come sarà”). Per loro, mancando ogni possibilità di confronto, verrà a meno la possibilità di comprendere le cause di quel malessere che – come animali liberi – continuerà a serpeggiare nei loro cuori ridotti alla cattività: è così che procede la società tecnologica, immiserendo progressivamente la nostra vita e trasformando via via il mondo libero e naturale in un universo sempre più artificiale, sempre più recluso, sempre più controllato, sempre più distanziato socialmente, isolato, alienato, tossico, ma, allo stesso tempo accettato da chi crede che esso sia l’unico possibile.

La forza di chi, oggi, un mondo libero e selvatico porta ancora nel cuore, sta appunto nella convinzione di volerlo riconquistare: se non proprio per tutti, almeno per sé, per i propri cari e per coloro che ancora sapranno desiderarlo.

Enrico Manicardi

NB) Sul tema Coronavirus si ascoltino anche le interviste rilasciate da Enrico Manicardi a diverse radio locali, e caricate su questo sito (sezione “Interviste radio e tv” – parte “Audio”).

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[1] Si veda: https://youtu.be/JijKIxgEcLE

[2] C. SACCHETTI, L’avvocato tedesco contro la quarantena rinchiusa in manicomio, https://lacrunadellago.net/2020/04/14/lavvocato-tedesco-contro-la-quarantena-rinchiusa-in-manicomio/

[3] Ibidem.

[4] Cfr. O. RELAULT, COVID-19 in Germania – Quando la polizia suona il campanello, in «controinformazione.info» del 14 aprile 2020. Riportato in: https://www.controinformazione.info/covid-19-in-germania-quando-la-polizia-suona-il-campanello/

[5] Ibidem.

[6] IL FATTO QUOTIDIANO, Coronavirus, carceri in rivolta: 12 vittime. Nuovi disordini in alcuni penitenziari. A Foggia 19 evasi ancora in fuga. Previsto lo “sfollamento” di San Vittore. Indagini di più procure sulla “regia” delle rivolte, in: «Ilfatto quotidiano.it» del 10 marzo 2020, riportato in: https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/03/10/coronavirus-carceri-in-rivolta-altri-3-detenuti-morti-a-rieti-nuove-proteste-a-siracusa-e-caserta-a-foggia-evasione-di-massa-23-ricercati-la-procura-di-milano-apre-inchiesta-sulla-sommossa-a-san/5730183/

[7] IL MESSAGGERO, Coronavirus, rivolte dei detenuti: 10 vittime di overdose. Ripartono i colloqui, in «Ilmessaggero.it» del 10 marzo 2020, riportato in: https://www.ilmessaggero.it/rieti/coronavirus_rivolta_carceri_rieti_morti_overdose-5102499.html

[8] Ibidem.

[9] Cfr. M. D’ALESSANDRO, Nelle carceri 12 i morti per overdose durante le rivolte, in «AGI» del 10 marzo 2020, riportato in: https://www.agi.it/cronaca/news/2020-03-10/carceri-morti-rivolte-7420241/

[10] Cfr. LA REPUBBLICA, Coronavirus, YouTube fermerà i video che contraddicono l’Oms, in «Larepubblica.it» del 23 aprile 2020. Riportato in: https://www.repubblica.it/tecnologia/social-network/2020/04/23/news/coronavirus_youtube_fermera_i_video_che_che_contraddicono_l_oms-254775854/

[11] Cfr. ANSA, YouTube elimina video che legano coronavirus al 5G, in «ansa.it» del 6 aprile 2020. Riportato in: https://www.ansa.it/sito/notizie/tecnologia/software_app/2020/04/06/youtubeno-a-video-che-legano-virus-e-5g_05b4d19e-8d7c-43d6-8377-e3ec73c9716f.html

[12] Cfr. RAI 3 HD, Wuhan città aperta? Report del 6 aprile 2020, in: https://www.youtube.com/watch?v=fGr47OOsCMA

[13] Ibidem.

[14] Cfr. ISTITUTO DI RICERCHE FARMACOLOGICHE MARIO NEGRI, COVID-19: App di tracciamento dei contatti. Cos’è e come funziona, in: «Mario Negri Magazine» del 23 aprile 2020. Riportato in: https://www.marionegri.it/magazine/tracciamento-covid-19

[15] Ibidem.

[16] Ibidem.

[17] Cfr. M. LUPIS, Singapore e Corea battono il coronavirus “uccidendo” la Privacy, in «uffingtonpost» del 19 marzo 2020. Riportato in: https://www.huffingtonpost.it/entry/singapore-e-corea-battono-il-coronavirus-uccidendo-la-privacy_it_5e732008c5b6f5b7c53e56b6?utm_hp_ref=it-homepage

[18] Riportato in: https://www.nogeoingegneria.com/effetti/salute/oms-non-nascondo-nulla-gli-obiettivi-di-salute-2030/

[19] Si veda: https://www.youtube.com/watch?v=RsoG7pZifTw

[20] Ibidem.

[21] Cfr. E. MANICARDI, Rete, oppio dei popoli. Internet, social media, tecno-cultura: la morsa digitale della civiltà, Mimesis, Milano – Udine 2020, pag. 297.

[22] Passaggio tratto dal film documentario Soviet hippies di Terje Toomistu (2017).

[23] Riportato in: E. MANICARDI, L’ultima era. Comparsa, decorso, effetti di quella patologia sociale ed ecologica chiamata civiltà, Mimesis, Milano – Udine 2012, pag. 154.