Modena, 09 maggio 2020
E DOPO IL BASTONE… UN PO’ DI CAROTA?
LA LIBERTÀ NON È UNA CONCESSIONE.
SOTTO LE GRINFIE DEL POTERE SANITARIO NESSUNO È PIÙ AL SICURO
La dichiarata pandemia mondiale da COVID-19 non è una crisi, tanto meno la prima crisi del sistema capitalistico in versione “rapacità globale”. È invece la soluzione capitalistica alla crisi: il passaggio obbligato di una strategia di controllo globale che da diecimila anni muove la logica del dominio e che in questo preciso periodo storico deve distoglierci dalla preoccupazione per un Pianeta indirizzato verso il collasso e riallinearci tutti agli imperativi di un mondo-macchina in feroce consumo di se stesso. Credere all’accidentalità di quanto siamo costretti a subire in queste settimane, compresa la farsa dell’obbligata convivenza con ciò che fino a ieri rischiava di ucciderci solo a guardarci in faccia, significa continuare a opporre ingenuità a un sistema criminale che ormai non si accontenta più di entrare negli spazi vitali della gente e nella nostra psiche per indurci a comprare, ma che pretende di entrare nella nostra carne, nel nostro sangue, nei nostri sistemi immunitari e nei nostri geni allo scopo di separare ogni soggetto anche da se stesso per renderlo del tutto permeabile all’azione del Potere.
Sentirsi meglio nell’approfittare delle varie forme di “apertura” che la convivenza con il virus ha stabilito in questi ultimi giorni, se da un lato è naturale dopo mesi di segregazione, dall’altro dovrebbe invece metterci in guardia, perché ci accomoda in una dimensione che non è di libertà ma di concessione, rafforzando con ciò in noi la credenza nella bontà di fondo del Potere e delle sue Istituzioni. In effetti, l’idea che la nostra libertà sia rimessa a un’acconsentita passeggiata al parco pubblico finalmente riaperto, o a una bella sgambata fuori città con la bicicletta, o alla possibilità di ricongiungersi con i propri parenti stretti mediante contatti schermati e distanza sociale, ci dice appunto in che misura abbiamo perduto il senso della Libertà, e quanto siamo stati abituati a scambiarla con la Licenza. La Libertà non è un’autorizzazione: non è ciò che ci viene concesso benignamente da un’autorità. È autodeterminazione, non determinazione di altri a poter fare, poter dire, poter agire. La Libertà è la condizione naturale di ogni essere vivente che abita la Terra, non un “permesso a vivere”. In quanto tale, essa appartiene a ogni essere della Terra, non ai governi; i quali, invece, l’hanno da sempre usurpata trasformandola in concessione per poi distribuirla col contagocce sotto forma di diritti.
Esultare per i permessi che ci vengono accordati in questi giorni di Fase 2, significa dunque agire indirettamente contro noi stessi e imprimere ancor di più, nei recessi della nostra psiche, la logica della libertà come licenza. (Ascoltate quante volte il Premier Conte ha ripetuto il termine “concessione” nel suo messaggio alla nazione del 26 aprile scorso: è concesso questo, è concesso quello, è concesso quell’altro…).
Tutti ovviamente preferiamo poter passeggiare senza limiti di prossimità piuttosto che essere costretti in casa; ma quel permesso di passeggiare non c’entra nulla con la libertà. È un permesso, appunto: un favore che ci viene accordato e che noi facciamo nostro. Più ci rinfrancheremo per i momenti di sollievo che le restrizioni dei governi ci garantiranno di volta in volta, e più rafforzeremo il potere dei governi contro la nostra libertà. Il sollievo, esattamente come lo sfogo e come la distrazione dallo sfogo, resta sempre funzionale alla condizione di restrizione: serve cioè a farci tollerare meglio quella condizione di restrizione stessa e a renderla “normale”; a farcela sentire come ineliminabile e soltanto attenuabile (con un premesso, appunto). La libertà, invece, sbaraglia ogni forma di costrizione, ed esprimendosi come manifestazione del rispetto, c’insegna a considerare arbitrari tutti i suoi limiti e a diffidare dei tanti nulla-osta che vorrebbero rimpiazzarla.
Non si tratta di una questione filosofica. Come l’ora d’aria non libera i detenuti dalla prigione ma li scarica proprio di quelle tensioni che potrebbero indurli a liberarsene; come la ricreazione degli scolari non li svincola dai doveri d’istruzione ma li prepara ad accettarli con maggiore disponibilità; come le ferie retribuite dei lavoratori subordinati non eliminano la loro subalternità ma gliela fanno accettare meglio e per tutto il ciclo della vita, anche le concessioni elargite dal governo assolvono soltanto alla loro funzione di alleggerimento, sgravando in tutto o in parte il carico psicologico di un’esistenza sempre meno nostra, sempre meno libera, sempre meno vissuta come un piacere.
Dopo la retorica bellica e militarista di queste settimane, che è servita a compattare le popolazioni contro il nuovo nemico alle porte (“siamo in guerra contro il virus”; “le armate in tenuta bianca combattono sulla linea del fuoco in Italia”; “usciremo sicuramente da questo conflitto”), e dopo la retorica fascista che ha rafforzato quella militarista (“c’è da vincere, e vinceremo!”; “evitare gli assembramenti!”; “la Scienza ha sempre ragione!”), ora la retorica della distensione e della speranza del dopoguerra si unisce ai permessi e ai congedi per confermare che la contagiosità non è più un pericolo, e che le 1.500 persone che ogni giorno continuano ad aggiungersi al numero dei positivi al COVID-19 (e cioè lo stesso aumento giornaliero di quel 9 marzo scorso in cui tutti furono rinchiusi in casa per non morire subito!) non sono più rilevanti.
È solo così che, da quando esiste la civiltà, le aspettative di una nuova ripresa economica, la speranza di un nuovo boom, la certezza di poter ricominciare a vivere riescono a far dimenticare i trascorsi di guerra, le crisi monetarie precedenti e persino le condizioni di benessere che vigevano prima del conflitto: tutti felici della propria maggiore miseria; tutti contenti d’indossare mascherine ospedaliere, guanti e tute anti-proiettile pur di poter uscire di casa; tutti ancor più produttivi e ancor più entusiasti nel ridare il proprio personale apporto a quella Megamacchina che sta conducendo il Pianeta al collasso e tutti noi al collasso.
Così, mentre ci sollazziamo all’idea che presto tutto sarà finito, diventando sordi, ciechi e muti davanti allo scempio della nostra libertà, e proni dinanzi all’Ordine Mondiale Sanitario che in soli due mesi ci ha messo tutti nudi davanti al suo potere, la calata di questo Potere continua la sua azione silenziosa verso la “soluzione finale”: la messa a ferro e fuoco definitiva di ogni libertà, di ogni dignità umana, di ogni potenziale capacità conoscitiva e di ogni sensibilità critica e vitalistica.
Le Prove Tecniche di soggezione hanno ridotto al minimo i nostri spazi di concessione. La Scientocrazia, governo dittatoriale della Scienza, non tollera spazi ampi di licenza, non tollera dissidenza e nemmeno manifestazioni contenute e democratiche di disapprovazione. A chi ancora crede che la Grande Messinscena del coronavirus sia stata organizzata per proteggerci da un incombente pericolo di contagio, e non invece per abituarci alla resa incondizionata verso il Potere, rifletta su quanto accaduto il 1° maggio scorso a Santa Lucia di Piave (TV), alla “manifestazione/drive-in” indetta dal Sindaco Riccardo Szumski e intitolata “Terapia per lavoro e libertà”. «Terapia medica – ha spiegato il sindaco ai giornalisti che lo hanno intervistato –, dopo tutti questi due mesi di privazioni, di reclusione e di stato di polizia»[1]. Ma anche terapia politica: «Ho cercato di spiegare loro», ha continuato il sindaco riferendosi ai cittadini intervenuti alla manifestazione[2], «che è inutile che aspettino da altri, da partiti e da altre persone, la risposta [a quanto sta accadendo]. La debbono trovare dentro se stessi e devono usare la loro testa».
Almeno 400 auto hanno infatti risposto all’appello del sindaco di Santa Lucia di Piave e si sono ritrovate nell’area dello spazio fieristico della città per unirsi alla protesta di questo particolare 1° maggio: tutti in macchina (quindi distanziati tra loro), tutti dotati di mascherina (nemmeno obbligatoria all’aperto) e tutti “giustificati” dall’autocertificazione “per visita medica” firmata dallo stesso Szumski, medico di base. Risultato finale: tutti identificati dalla polizia (giunta immediatamente sul posto per fare il proprio lavoro), e Sindaco messo sotto indagine penale!
Il fatto che, in due soli mesi, siano saltati a gamba all’aria diritti inalienabili della persona umana consacrati da più di settant’anni, ci dice che la libertà non è nei diritti ma nel nostro cuore. Per difenderla, dunque, non basta appellarsi alle Dichiarazioni Universali, alle Costituzioni, agli Emendamenti, ai Partiti o alle adunanze militari dei furboni che ne approfittano subito (vedi generale Pappalardo e la sua annunciata “marcia su Roma” del prossimo 2 giugno 2020). Occorre invece ritrovarla appunto dentro di noi: nel nostro spirito indomito; nella nostra Resistenza; nel nostro naturale bisogno di dire basta ai soprusi di cui ogni autorità (anche alternativa) si nutre per esistere.
La dittatura è adesso! Non è più soltanto nella storia passata del nostro Paese e dell’Europa. È adesso, e ovunque! Essa si espanderà proporzionalmente alla nostra arrendevole attitudine a tollerare tutto questo. Perché la forza del Sistema è nella resa dei soggetti governati, non nel potere dei quattro imbecilli che guidano la Grande Macchina, e tanto meno nello stuolo di servi armati che ne garantiscono il funzionamento “facendo il loro lavoro”.
Quante volte abbiamo sentito ripetere questa pappardella dagli sbirri: alle critiche di chi osserva loro che sono oggi al servizio di una dittatura, tutti – senza scomporsi troppo – a ripetere la frase di rito: “stiamo solo facendo il nostro lavoro!”. Se ci pensiamo bene, non è la stessa frase che anche i gerarchi nazisti dichiararono a propria discolpa al Processo di Norimberga (1945-46)? “Ho solo eseguito ordini”, ha ripetuto ancora Eichmann nel 1961, prima di essere condannato all’impiccagione. Perché non basta aver eseguito il proprio lavoro per non essere responsabili di quel che si fa. Eppure, questa frase di discolpa pare pulire la coscienza di tutti. È la stessa che pronunciò persino il tenente colonnello Paul Tibbets, pilota del B-29 che aveva sganciato la bomba atomica su Hiroshima, il quale, dopo aver ucciso all’istante 70.000 persone e altrettante travolte dalla tempesta rovente della bomba, a chi gli chiedeva se avesse mai avuto rimorsi di coscienza per quell’azione, rispondeva senza fare una piega: “Ho fatto solo il mio lavoro!”. Ed è proprio questo annullamento di consapevolezza il problema. È questa perdita della capacità di fare i conti con la propria coscienza che ci rende macchine. E quella che Günther Anders definiva la “macchinizzazione universale” si fonda esattamente su queste premesse: nessuna coscienza, nessun discernimento disturbato, nessuna consapevolezza in protesta, nessuna reazione umana che si contrapponga al comando da eseguire. Esattamente come una macchina (che non pensa, non sente, non si ribella ed esegue semplicemente il comando), anche l’individuo macchinizzato fa soltanto il suo lavoro: cambia poco se questo sia dirigere il traffico o sparare su di una folla di manifestanti. La forza del Sistema, si diceva, non è nel potere dei quattro imbecilli che guidano la Grande Macchina, ma appunto nella disumanità di chi si fa governare. Nella disumanità di chi fa soltanto il proprio lavoro, e che magari non è nemmeno un lavoro di polizia. Il Sistema è forte, infatti, quando ai diktat che esso impone e alla torma di agenti-macchine-alla-Eichmann che fanno solo il loro lavoro, si unisce anche la massa dei non-aventi-opinione. E cioè quando i prigionieri-umani che ancora resistono (o che sentono il bisogno di resistere) siano soffocati dalle frotte di schiavi-disumani che si fanno governare, e che pertanto sono sempre disposti a fare tutto quello che gli vien ordinato senza più alcuna coscienza, senza più alcuna consapevolezza in protesta, senza più alcuna capacità di opporre la propria libertà all’ingiustizia, e dunque tace, si piega silenziosa, si mette in riga, magari fa persino la spia per farsi riconoscere, e comunque accetta tutto con disinvoltura: fossero anche gli arresti domiciliari a oltranza sol che vengano inframmezzati da qualche diversivo, da una passeggiata al parco finalmente riaperto, o da un po’ di soldi e di potere. È in questa melma di presunti interessi contrapposti, di presunti vantaggi personali e di piaggerie che il Sistema diventa forte.
È per questo che non serve credere all’esistenza di un burattinaio unico per dare giustificazione all’avanzata deleteria della civiltà nella nostra vita. Non esiste alcun complotto contro di noi né contro la nostra libertà; esiste solo la diretta o indiretta collaborazione di tutti alla perpetuazione del mondo così com’è. Esiste solo il nostro diretto o indiretto concorso a quanto serva perché la nostra vita divenga sempre più artificiale e soggiogata. Esiste solo la riduzione di tutti a ingranaggi del Sistema, separati dagli altri e da se stessi, resi dipendenti dai servizi del Sistema, e ridotti con ciò a dare la vita perché sia il Sistema a vivere.
Nessun intrigo da smascherare, dunque; nessuna cospirazione, nessuna congiura, nessuna macchinazione. Solo una civiltà da riconoscere e da abbattere: abbattere dentro di noi, prima ancor che fuori. Perché la domesticazione, essenza della civiltà e suo motore portante, alberga prima di tutto dentro di noi, nella nostra costruita dipendenza dal Sistema, dai suoi valori, dalle sue categorie e da quei suoi inutili ritrovati che abbiamo imparato a credere essenziali e inevitabili.
Il caso di Varese, coi braccialetti di distanziamento per bambini inventati da una intraprendente ditta italiana (che farà certamente soldi a palate, ridando di nuovo vita al marchio “made in Italy”), e applicati da un solerte direttore ben assistito da un gruppo di pediatri, psicologi e pedagogisti che lo aiuteranno a farla ingurgitare a tutti i bimbi della scuola (e non solo a loro), è soltanto uno dei tanti episodi di questa triste virata nel totalitarismo alla quale tutti diamo il nostro personale apporto: istituzioni, sbirri in divisa, sbirri in camice bianco, imprenditori dal piglio manageriale, fabbricanti di rimedi, pubblico pagante e detrattori della domenica. «Bambini tra i 4 e i 6 anni con un braccialetto hi-tech ai polsi per tornare in sicurezza all’asilo rispettando le giuste distanze – è scritto nell’incipit dell’articolo riportato dall’ANSA[3] –. È il futuro che si annuncia in una scuola dell’infanzia paritaria nel Varesotto, a Castellanza, dove direttore e docenti si dicono “pronti a ripartire con tutte le cautele”. […] I cerchietti vengono infilati al polso dei piccoli all’interno dell’istituto come se fossero degli orologi: una volta impostata la misura di un metro minimo di distanza tra loro, gli aggeggi vibrano e si illuminano se si supera il limite consentito di vicinanza fisica. […] Il sistema – è scritto senza censure nell’articolo – si serve anche di una app che a distanza permette di monitorare i contatti tra i piccoli nell’istituto scolastico, utile anche se dovessero manifestarsi verifiche su eventuali casi di positività». Ma non solo: «”I bracciali […] saranno indossati da tutti i lavoratori all’interno della scuola”», ha spiegato Fabio Morandi, preside della stessa, rendendo con ciò noto l’intento di amorevole sorveglianza elettronica che questi “cerchietti” garantiranno[4]. «“L’iniziativa sarà sviluppata e spiegata [ai bambini] come se fosse un gioco”», ha aggiunto il benemerito dirigente[5]. Che spirito pedagogico! Che bontà d’animo! Che delicatezza invidiabile!!! Prima ai bambini, e poi a tutti gli altri!
Del resto non è forse così che agiscono da sempre i governi e le Istituzioni quando impongono restrizioni alle persone? Allorché si voglia ingiungere misure coercitive alla popolazione si comincia sempre col renderle obbligatorie a una sola cerchia limitata di individui o a una categoria, in modo che l’eventuale protesta dei colpiti risulti isolata e non supportata dall’azione di tutti gli altri (che credendola una questione personale pensano che la cosa non li riguardi). Poi, appena le misure coercitive saranno passate contro gli “apri-pista”, ecco che verranno presto estese anche a tutti gli altri: prima norme eccezionali per i lavoratori, e poi per tutti; prima leggi speciali per i migranti, e poi per tutti; prima vaccinazione ai minorenni, e poi per tutti; prima provvedimenti urgenti per il personale sanitario, per gli ausiliari in emergenza, per i cani, e poi per tutti!
Così mentre la app di tracciamento della vita di tutti si prepara a fare il suo trionfale ingresso nella vita digitalizzata di tutti, e presto anche i genitori dei bambini col guinzaglio per il distanziamento sociale potranno “giocare” al gioco del “non tocchiamoci più”, il Potere Sanitario Mondiale prosegue nella sua azione di soggezione di tutto di tutti al proprio governo. Il fatto è che, non avendo la Scienza molta dimestichezza con la democrazia, si è pensato bene di rendere meno burocratica anche la repressione del dissenso.
In Scientocrazia, insomma, chi protesta non rischia più soltanto di trovarsi addosso il peso di sanzioni economiche insopportabili o di grane giudiziarie che apriranno farraginose procedure processuali capaci solo di far perdere tempo e soldi all’Apparato (peraltro col rischio di vedere l’indiziato uscire vittorioso dalle grinfie della Giustizia invece di esserne schiacciato). In Scientocrazia occorre schiacciare subito, stritolare sul nascere qualsiasi resistenza, far capire a tutti chi comanda. Dunque, invece di spiegazioni e carte da bollo, molto meglio internare i dissenzienti e trattarli come pazzi. Del resto, non sono forse pazzi tutti coloro che si oppongono alla filantropica azione quotidiana di questa società terapeutica la quale, nell’amore di tutti, si occupa del bene comune e protegge i propri cari, mirabili, adorati cittadini dalla violenza inaudita della Natura? Dopo gli internamenti tedeschi e svizzero-tedeschi di professionisti irriducibili, anche in Italia, assieme ai desaparecidos delle sommosse in carcere, possiamo cominciare a enumerare anche i desaparecidos delle manifestazioni di protesta. Il 2 maggio scorso, in provincia di Agrigento, Dario Musso, un quarantenne che manifestava con un megafono il proprio dissenso per la strada, invitando la gente a smettere di credere alla pandemia e a non avere paura di un contagio che non esiste, è stato prima circondato da un numero impressionante di agenti in divisa (che facevano solo il loro lavoro) e poi sottoposto a un Trattamento Sanitario Obbligatorio per strada (da medici che facevano solo il loro lavoro), sequestrato quindi in un ospedale psichiatrico (con altri professionisti intenti solo a fare il loro lavoro), impedito a qualsiasi contatto con i familiari (da piantoni che facevano solo il loro lavoro) e infine ridotto a una larva come risulta dall’impressionante video pubblicato sul video-blog d’informazione indipendente Byoblu[6].
Se a questo trattamento sanitario per i dissenzienti aggiungiamo la bella idea concepita dal Presidente della provincia di Trento, Maurizio Fugatti, che ha recentemente chiesto al Ministro della Salute di imporre il trasferimento dei positivi al COVID-19 in luoghi chiusi, sicuri e interdetti all’entrata e all’uscita, il cerchio è chiuso. Come ha ricordato la parlamentare Sara Cunial, si tratta semplicemente di una vera e propria proposta di «deportazione»[7], peraltro già sollecitata fin dal 7 aprile scorso «dal Dottor Michael Ryan, Direttore esecutivo del programma di emergenza dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), il quale ha dichiarato: “il coronavirus si sta spostando dalle strade alle case, nelle famiglie. Diventa fondamentale quindi isolare le persone infette”. E ancora: “Idealmente la quarantena dovrebbe avvenire in un luogo diverso dalla propria abitazione perché se una persona si ammala rischia di infettare l’intera famiglia”»[8].
Tracciamento di ogni spostamento di tutti i cittadini; procedimenti giudiziali per i sindaci che indicono manifestazioni pubbliche e identificazione poliziesca dei manifestanti; sanzioni disciplinari per i medici che contraddicono la Verità stabilita dalla Scienza; task force istituzionale contro le fake-news, così da far passare come bufala ogni informazione non gradita al governo che ancora riesca a giungere alle orecchie della gente; deportazione forzata per i positivi al COVID-19; soggezione a TSO e internamento in reparti psichiatrici per coloro che la pensino in modo indipendente ed esercitino la loro libertà di manifestazione del pensiero; carta bianca agli sceriffi dell’ordine pubblico così da far valere sul posto, senza tanti lacci e laccioli democratici, la loro stella; apparato sanitario compiacente e coadiuvante la repressione. Se qualcuno ha ancora dubbi circa il fatto che siamo in dittatura e che la Medicina è una istituzione di potere, continui pure a vivere tra le nuvole. Il totalitarismo della Scientocrazia non si fermerà da solo. E mentre qualche altro genio del mondo civilizzato sta già studiando l’idea di stabilire un reddito di base per tutti, in modo che nei prossimi anni la popolazione reclusa per decreto dell’OMS possa continuare a consumare senza interrompere i sacri cicli dell’Economia, possiamo goderci tutti la nostra bella passeggiata fino al parco di nuovo riaperto o cominciare a pensare per davvero a cosa fare per poterci tornare anche domani al parco.
Ha ragione Sara Cunial: mentre il governo lascia «mano libera a sceriffi e carcerieri di diffondere terrore e internare persone libere e senzienti, magari al solo scopo di “dare il senso di un regime molto stringente”, come dichiarato da qualcuno [il riferimento è alle dichiarazioni del sottosegretario alla presidenza della Regione Emilia-Romagna, Davide Baruffi, N.d.R.[9]], il diritto a manifestare il nostro pensiero e di agire da persone libere lo dobbiamo difendere da noi. […] Non possiamo più permetterci di girarci dall’altra parte, di chiudere gli occhi e di stare in silenzio. Se si continua su questa strada nessuno potrà considerarsi al sicuro»[10].
Enrico Manicardi
NB) Sul tema Coronavirus si ascoltino anche le interviste rilasciate da Enrico Manicardi a diverse radio locali, e caricate su questo sito (sezione “Interviste radio e tv” – parte “Audio”).
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[1] Si veda: https://www.youtube.com/watch?v=Wvj5FI38zbc
[2] Ibidem, pag. 124.
[3] Cfr. ANSA, In un asilo di Varese il braccialetto per il distanziamento a 150 bimbi, in: «ansa.it» del 6 maggio 2020. Riportato in: https://www.ansa.it/canale_legalita_scuola/notizie/scuole/2020/05/06/in-asilo-varese-bracciale-per-bimbi_74775209-5ce4-428c-ac0a-f3418d674c52.html
[4] Ibidem.
[5] Ibidem.
[6] Si veda: https://www.youtube.com/watch?time_continue=1&v=NYJyd8Y0d-E&feature=emb_logo
[7] Si veda: https://www.facebook.com/watch/?v=235213777815380
[8] Ibidem.
[9] Cfr. BOLOGNATODAY, Coronavirus, Emilia-Romagna a sportivi: “Ancora 10 giorni di pazienza, a maggio sport all’aperto”, intervista al sottosegretario alla Presidenza della Regione Emilia-Romagna, Davide Baruffi, in «bolognatoday.it» del 22 aprile 2020. Riportato in: https://www.bolognatoday.it/cronaca/sport-emilia-romagna-maggio-coronavirus.html
[10] Si veda: https://www.facebook.com/watch/?v=235213777815380