Modena, 21 giugno 2020

UN MONDO TECNOLOGICO È UN MONDO SEMPRE PIÙ STERILE, ALIENATO, DISTANZIATO, ISOLATO, TOSSICO, RECLUSO, SPIATO, CONTROLLATO, SOGGIOGATO, MANIPOLATO...

“La civiltà è controllo” ha scritto John Zerzan: “principalmente un processo di estensione del controllo”. Un’estensione continua del controllo, aggiungo io; incessante, senza limiti di spazio né di forza d’intrusione. Dunque sempre più invasiva e soffocante.

Oggi è chiaro che quello che qualcuno ha denunciato fin da febbraio scorso, non era sbagliato: il feroce terrorismo sanitario diffuso in tutto il mondo non ha mai avuto alcuna funzione profilattica, ma solo politica: è servito cioè a rinchiudere la popolazione di tutto il globo nella paura del contagio, così da verificare quanto essa sarebbe stata capace di rispondere a comando, obbedire senza discutere, accettare l’insopportabile e considerare normale la sospensione di ogni libertà. Al di là dunque del risultato di asservimento ottenuto, ciò che ha motivato la Grande Messinscena del coronavirus è stata un’esigenza di controllo sociale, di estensione del controllo, senza limiti di spazio né di forza d’intrusione: un’esigenza di civiltà.

Il contagio non esiste e non è mai esistito. Ancora oggi ne abbiamo prove quotidiane: le migliaia di manifestanti provenienti da tutta Italia e riunitisi in Piazza Santa Croce a Firenze il 20 giugno scorso, senza mascherina né distanza sociale, per la giornata “Salviamo la costituzione”, si sommano alle migliaia di tifosi del Napoli calcio radunatisi il 18 giugno scorso in Piazza Garibaldi per festeggiare la vittoria della Coppa Italia, si sommano alle frotte di meridionali che a marzo scesero dal Nord a Sud per trascorrere a casa i mesi di restrizione domiciliare, si sommano ai detenuti delle superaffollate carceri italiane e alla popolazione di nazioni come la Svezia, i Paesi Bassi, la Svizzera, l’Inghilterra o Malta che non hanno praticamente adottato misure restrittive anti-contagio, per dimostrare come nessun picco di decessi abbia giustificato l’esistenza di un pericolo per la Salute Pubblica. Guardando la situazione epidemiologica attuale, riportata dall’Istituto Superiore di Sanità coi dati aggiornati al 18 giugno 2020, il numero di persone decedute in Italia per il coronaviurs (e cioè senza altra co-morbilità) è di 147[1] (con proiezione a potenziali 1.500 sui circa 34.600 dichiarati morti con il coronavirus).

Allo stesso tempo, anche volendo dare per ammesso (e non concesso) che il COVID-19 sia stato il Nuovo Nemico Pubblico Numero 1 contro il quale la popolazione riunita sotto il Governo Unico Mondiale della Scienza ha combattuto e combatte, ci sono domande che confermano la natura politica dell’operazione organizzata per enfatizzarne il pericolo. Per quale motivo sanitario, ad esempio, dovrebbe continuare oggi l’obbligo di osservare misure anti-contagio quando anche la Scienza Ufficiale nega l’esistenza di un rischio? Il prof. Alberto Zangrillo, Direttore della Terapia intensiva dell’Ospedale San Raffaele di Milano, ha dichiarato lo scorso 31 maggio: «“il virus dal punto di vista clinico non esiste più. Questo lo dice l’università Vita e Salute San Raffaele, lo dice uno studio del direttore dell’Istituto di virologia Clementi, lo dice il professor Silvestri della Emory University di Atlanta”»[2]. Il prof. Paolo Navalesi, responsabile di Anestesiologia e Terapia intensiva dell’Azienda ospedaliera di Padova, ha confermato: «“Adesso i pazienti infetti in terapia sono due, quindi oggi dico che clinicamente questa cosa è sotto controllo. Vi garantisco che ho più pazienti con infezioni batteriche multiresistenti a Padova che quelli Covid dell’intera regione. Ha ragione il mio amico prof. Alberto Zangrillo del San Raffaele: il virus è clinicamente morto, lo dicono i numeri dei ricoveri attuali”»[3]. Anche il prof. Matteo Bassetti, infettivologo dell’Ospedale San Martino di Genova, unendosi alla cordata, lo ha ribadito: “Zangrillo è stato attaccato da tutti – ha dichiarato pubblicamente –. Non da me e non dai clinici. Chi fa il medico quelle cose le ha viste sul campo nell’ultimo mese. Le ragioni perché possa essere successo [che il virus non esista più] sono da dimostrare, ma l’effetto clinico è questo. Chi lo nega, nega un’evidenza clinica, che osserviamo nei nostri pronti soccorso e nelle terapie intensive”[4].

Se le misure anti-contagio restano nonostante sia dichiarata passata la pericolosità del contagio, è ovvio che queste misure non sono anti-contagio, ma anti-qualcos’altro: sono misure anti-libertà. Misure politiche adottate appunto per controllare le persone, tenerle al guinzaglio, dominarle, manipolarle approfittando della paura suscitata. Proprio come ha denunciato in questi giorni il più importante virologo italiano (e non solo italiano): il prof. Giulio Tarro, già allievo e “figlio scientifico” di Albert Sabin, professore di Virologia Oncologica dell’Università di Napoli e primario emerito dell’Ospedale “D. Cotugno”. In un libro freschissimo di stampa dal titolo Covid – il virus della paura (Feltrinelli, giugno 2020), il prof. Tarro ha chiarito ogni dubbio sanitario sulla questione definendo quella del coronavirus una “strage di Stato”. Nelle parole del giornalista d’inchiesta Andrea Cinquegrani che ha riassunto il libello del Professore: «La Grande Truffa della pandemia. Le Maxi Menzogne dei politici di casa nostra. L’Immensa Ignoranza di scienziati-burattini. Gli Scientifici Depistaggi mediatici. Una Montagna Organizzata di Fake News per rincoglionire i cittadini, renderli sempre più sudditi, calpestare ogni loro diritto. Di tutto e di più nel gigantesco pandemonio della pandemia, come balza alla luce in “Covid – Il virus della paura”, scritto dal virologo Giulio Tarro, un pamphlet che tutti gli italiani dovrebbero leggere. Proprio per capire chi li inganna, chi li massacra quotidianamente da ormai quattro mesi, chi li priva degli ultimi stracci di libertà e democrazia»[5]. Il COVID-19, ha continuato il giornalista, «è riuscito a coagulare, come in un unico blocco mortale, gli interessi e gli appetiti di Big Pharma e dei suoi lacchè tutto affari & tivvù, dei politici di casa nostra e del relativo sottobosco, di giornalisti assoldati e scodinzolanti»[6].

Che la Grande Messinscena del coronavirus sia una questione politica, dunque, ormai lo dicono e lo scrivono anche i virologi.

Il contagio non esiste e non è mai esistito. Quel che esiste, invece, e che in questi mesi ha gettato definitivamente la maschera, è la dittatura della Scienza (scientocrazia), col suo stuolo di pennivendoli di potere a dirigere giornali e telegiornali, di politicanti portaborse, di medici tirapiedi, di popolazioni sempre più rincoglionite che invece di ribellarsi alle ingiustizie loro inferte continuano ad ascoltare i consigli per gli acquisti della Propaganda di Regime, portando museruole anche quando non è obbligatorio, guanti in macchina, vestiti continuamente disinfestati e seguendo tutti gli altri suggerimenti antigienici del Pifferaio Magico.

Di questa terribile dittatura che non ha colore politico in quanto muove trasversalmente sia da destra che da sinistra, e che trova fedeli pieni di ardore sia nell’universo fascista dei Salvini e della Fratella d’Italia che in quello (psudo) rivoluzionario di anarchici e centri sociali, il mondo tecnologico rappresenta semplicemente il braccio armato. “La scienza esplora, la tecnologia esegue, l’uomo si conforma”, era scritto nell’insegna che campeggiava davanti all’ingresso della Fiera Mondiale di New York del 1934[7]. «Col suo carico di assolutezza capace di seminare nei contribuenti una fede indiscussa verso i suoi precetti – scrivevo nel 2012 –, la tecno-scienza esplora, sperimenta, plasma, sostituisce, inibisce, convince. E le popolazioni incivilite, intimorite dalla sua forza, atomizzate personalmente (e socialmente) ed educate a rispettarne con religiosa reverenza l’autorità, si adeguano, attendono impazienti gli esiti dei laboratori, si esaltano per le conquiste riportate sulle riviste di settore, e dalla tecno-scienza si fanno plasmare, convincere, drogare, mutilare perfino. Biologia, psicologia, chimica, fisica (compresa la meccanica quantica): ce n’è per tutti i gusti. Ma è nel campo della salute umana che la scientocrazia non ha voci di dissidenza.

«Mentre si preoccupa di diffondere la pratica di una sempre più totalizzante medicalizzazione della vita che ci rende tutti fruitori passivi dei suoi prodotti terapeutici – continuavo –, la tecno-scienza della malattia spopola. Accettata l’idea che “stare bene” significhi disporre di analisi cliniche dall’esito congruo rispetto a quanto stabilito dai parametri standard dei protocolli sanitari, la Medicina diventa principio di “verità”, l’unica fonte indiscutibile di certezza alla quale tutti credono, anche i membri più ribelli dei partiti ambientalisti e di opposizione. Il ruolo di capofila che le compete nell’inventare e sperimentare prodotti e servizi utili a indurre nelle persone attitudini conformate e obbedienti, resta solo a confermarne il comando assoluto che essa ha assunto sulle nostre coscienze, non solo sui nostri corpi»[8].

La cultura della prepotenza, ad esempio, quella che i governi in questi ultimi quattro mesi hanno esplicitamente praticato per ordine del Potere Sanitario Mondiale, spiega perfettamente l’andamento delle cose e l’invettiva che la Grande Messinscena del coronavirus ha garantito allo sviluppo della civiltà (allo sviluppo del controllo e del processo di estensione del controllo). Sospendendo la democrazia a suon di DPCM, Delibere regionali, Ordinanze dei Sindaci, Circolari e altre fonti di risulta, e diffondendo così la convinzione che una qualsiasi Autorità possa disporre della Legge a proprio piacimento (senza alcun rispetto per il principio gerarchico delle fonti del diritto che regola ogni regime democratico), i governi del mondo ci hanno definitivamente fatto comprendere che, sotto la dittatura della Scienza, vige una sola regola: quella dei rapporti di forza: decide chi comanda, punto e basta! Che sia il direttore del mercato comunale a imporre mascherine e guanti senza alcuna legge di rango primario che lo preveda, o sia il Sindaco (“padrone” del laghetto pubblico) a stabilire il divieto di prendere il sole, quello che le popolazioni debbono comprendere è che, sotto il governo della Scienza, non ci sono più parlamenti eletti dal Popolo per regolare e limitare le libertà, ma libertà sospese da chiunque ricopra posizioni di autorità, siano  pure sceriffi della strada, dirigenti occasionali o titolari di funzioni pubbliche. Tutti all’opera  per “sanificare” i diritti delle persone, imponendo loro il rispetto militare degli ordini di guerra impartiti dalla Scienza: possibilmente con quello zelo tipico del paggio del Re che è capace di anticipare la volontà imperiale, di farla propria prima ancora che si manifesti andando persino oltre i suoi limiti, e dimostrando così tutto lo scrupolo patriottico possibile, tutta la dedizione profusa, tutto il proprio attaccamento alla causa, l’affezione verso il potere e il culto incontrastato della Forza.

Le Prove Tecniche di soggezione della popolazione mondiale ci hanno abituato ad accettare tutto questo. Ad accettare ancor meglio questa logica dei rapporti di forza. Tale logica, infatti, non nasce con la Grande Messinscena del coronavirus, ma è connaturata all’idea stessa di Tecnologia. Ce ne siamo accorti sin dai tempi dell’avvento della società digitale. In quel meraviglioso villaggio globale che è Internet, la logica che vale è appunto quella del più grosso che mangia il più piccolo: Wikipedia ha soppresso Encarta, l’enciclopedia digitalizzata prodotta da Microsoft, e ormai ha soppresso quasi ogni altra enciclopedia; Amazon sbaraglia il campo dei servizi proponendosi persino come editore; Google (la “chiesa di google” come l’ha chiamata Nicholas Carr) non ha rivali nel suo campo (cioè in tutto!). «Google è un brand onnipresente», ha scritto in proposito lo storico della cultura Siva Vaidhyanathan[9]; e il “vangelo secondo Google”[10] sostituisce ogni altra verità, inglobando forme di ricerca, marketing aziendale, sistemi di localizzazione territoriale, indirizzi telematici, guide telefoniche, metodi di rintraccio.

A monte, infatti, è proprio la Tecnologia ad avvezzarci ai rapporti di forza. Essa ci abitua giorno per giorno a una visione militare della vita, ben espressa nella pratica dell’ordine e dell’obbedienza su cui si fonda il funzionamento dei suoi aggeggi: quando spingiamo un tasto, tocchiamo uno schermo, muoviamo una leva o giriamo una chiave di accensione di un congegno non stiamo semplicemente chiedendo alla macchina di funzionare: le stiamo intimando di funzionare alla perfezione, ed essa deve rispondere a questo ordine perentorio obbedendovi senza discussioni. Se ciò non si verifica, perché la macchina non funziona o funziona male, la stessa viene portata in riparazione (e cioè costretta ad adempiere perfettamente agli ordini assegnati) oppure sostituita e condotta allo smaltimento.

L’automazione, quindi, nel fissare una relazione autoritaria fondata sull’ordine e sull’obbedienza, forgia una mentalità umana aderente a questa stessa prospettiva: più si useranno macchine, più si perderà ogni sensibilità verso una relazione paritaria all’interno del contesto sociale, per diventare tutti più spicci, categorici, indisponenti. Allo stesso tempo, essendo la macchina ad attuare le esplorazioni della Scienza stabilendo che sia l’utilizzatore a doversi conformare al suo funzionamento (non c’è altro modo di far funzionare una lavatrice o uno smartphone se non in quello stabilito dalla macchina), un ambiente pervaso dalla tecnologia è sempre un ambiente in cui le persone, mentre vengono appunto trasformate in autoritarie e insensibili esecutrici dei loro personalistici interessi, si abituano anche ad accettare lo stato delle cose senza protestare: ha forse senso prendersela con uno scooter che non si accende o con un telefono scarico?

«Oggettivando la prestazione, la tecnologia oggettiva anche il suo utilizzatore il quale, mentre impara a relazionarsi con comandi e ordini di adempimento, impara anche a sottomettersi ai processi di funzionamento della macchina e a diventarne parte. La tecnologia, del resto, non prevede relazioni personalizzate: è fissa, seriale, permanente. Pertanto, più il mondo si trasformerà in un mondo tecnologico, automatizzato, telematico, più gli umani saranno progressivamente espulsi dalla possibilità di rendere soggettiva ogni loro scelta e, senza nemmeno accorgersene, si ritroveranno collocati nel campo puramente passivo della mera presa d’atto di quel che accade, dell’adempimento di quel che è stato stabilito, dell’accettazione di come funziona, dell’adattamento forzoso a quel che c’è, qualsiasi cosa esso sia: compresa l’accelerazione al massimo dei propri doveri per poter tenere il passo della catena di montaggio»[11]; compresa l’accettazione dei rimedi coi quali la tecnologia sostituirà via via tutte le nostra prerogative umane; compresa la soggezione a tutto ciò che la società stabilirà come necessario, sia essa la massima tossicità dell’ambiente ecologico o la violazione di ogni riservatezza e protezione personale. A quest’ultimo proposito, il fatto che il governo Conte, con Decreto Legge n.30 del 2020 abbia già stabilito che “In considerazione della necessità di disporre con urgenza di studi epidemiologici e statistiche affidabili e complete sullo stato immunitario della popolazione, […] è autorizzato il trattamento dei dati personali, anche genetici e relativi alla salute”, conferma appunto che la tecnologia non si ferma certo davanti all’inviolabilità di niente e di nessuno. Una volta proclamata politicamente l’emergenza sanitaria, l’intervento armato della Tecnologia è anzi considerato salvifico, non intrusivo, non molesto, non oppressivo.

E infatti le virtù di supposta redenzione del mondo virtuale vengono sempre più magnificate oggi: Internet ci salverà, è il messaggio di fondo. Ancor più chiaramente di ieri, Internet rappresenta oggi la possibilità per l’umanità incivilita di sottrarsi ai limiti e ai problemi della vita naturale. La Scienza produce Tecnologia e la Tecnologia salva l’umanità dalla cattiveria della Natura, dalla sporcizia della Natura, dalla sua volgare materialità. Internet non consente forse la continuazione della produzione anche in tempi di restrizioni in casa? Col telelavoro, col teleconsumo, con la telescuola, col teledivertimento. Internet non consente forse di vivere un’esistenza senza più contatti diretti tra gli umani, e dunque senza più contagi? La vita virtuale è una vita senza coronavirus: si può giocare virtualmente; ci si può intrattenere virtualmente; si può parlare virtualmente; si può persino fare l’amore: basta mutare l’amore in sesso, trasformare anche il sesso in consumo latente di sessualità (e cioè in una masturbazione davanti a uno schermo) e il gioco è fatto! Quello che un tempo era l’amore fisico diventa molto più praticamente uno sfogo genitale onanistico. E che problema c’è ad assumere questa nuova visione dei rapporti umani? Basta farci l’abitudine, e tutto torna a diventare “normale”.

Certo, per le vecchie generazioni una simile idea di sensualità mostra tutta la tristezza di un’esistenza sempre più steriue, mediata da macchine e da congegni elettronici. Ma le giovani generazioni, quelle che saranno cresciute con la mascherina in faccia per nascondere i sorrisi, con gli occhialoni scuri anti-contagio lacrimale sul naso per non guardarsi più negli occhi, coi guanti in lattice per non toccarsi, coi braccialetti elettronici ai polsi per la distanza sociale e con pulsanti digitali dappertutto per sollazzarsi nel mondo virtuale, non sarà difficile adeguarvisi. Non avendo avuto la possibilità di confrontare questo modo artificiale di vivere con un altro precedente, quello condotto sembrerà normale, l’unico, il migliore. Proprio come noi tutti abitanti civilizzati nati nel Novecento accettiamo senza discutere (come fosse normale) la vita elettrificata, lo scorrere del traffico automobilistico o l’obbligo d’indossare “mascherine” ai genitali o sotto la pianta dei piedi. Perché la Tecnologia, e il mondo civilizzato che se ne serve, agisce proprio in questo modo: con la sua promessa di ampliare all’infinito le potenzialità umane, ci illude, ci spinge all’uso dei suoi congegni e al consumo dei suoi servizi facendoci dismettere l’esercizio delle nostre competenze di specie: camminare con le nostre gambe; parlare di persona con gli altri; impegnarci in calcoli con la mente; fare sforzi fisici; mettere in gioco le nostre emozioni; tenere in moto il nostro sistema immunitario. E una volta perduta la nostra autonomia rispetto a quelle competenze, ci fa credere che senza quei rimedi che essa stessa ci propina in sostituzione, non sia possibile vivere.

Ma la Tecnologia mente. Mentre ci promette di espandere le nostre capacità, in realtà le imbriglia, le esaurisce, le atrofizza nell’uso rimpiazzato di quelle protesiche. Più faremo uso di quei rimedi, più le capacità umane soppiantate andranno perdendosi e avremo bisogno di Tecnologia. Dunque accetteremo tutto quello che essa stabilirà in sostituzione: siano appunto veleni della farmacologia, divertimenti comandati o nuovi congegni, con tutti i loro residui tossici.

Pensare che la Tecnologia sia neutrale, e cioè che sia buona o cattiva a seconda dell’uso che se ne faccia (e che facendone dunque un buon uso essa diventi buona), è l’ingenuità più grossa. È sufficiente fare l’esempio dell’ambulanza per rendersene conto. Chi metterebbe in discussione il fatto che un’ambulanza serva il nostro bene? Eppure, guidare un’ambulanza significa anche contaminare l’ambiente (coi suoi gas di scarico, coi suoi dischi dei freni che rilasciano nano-polveri nocive, col suo consumo di pneumatici, eccetera). Eppure, guidare un’ambulanza significa anche percorrere strade che hanno lastricato e cementato la terra, traforato catene montuose, ostacolato lo scorrere dei fiumi, sbarrato vie di accesso ad animali, persone, sementi. Eppure, guidare un’ambulanza significa anche utilizzare impianti (meccanici e sanitari) altamente sofisticati, i cui elementi di composizione provengono dallo sfruttamento ecologico del Pianeta: a cominciare dall’alluminio, ricavato dalla bauxite, e la cui estrazione provoca danni ambientali semplicemente devastanti: danni fatti di espropri di terreni agricoli non compensati, di acque contaminate, di terre coperte di polvere rossa, di aria carica di particelle pericolose per la salute (riferimenti tratti dal Rapporto dello Human Right Watch sull’estrazione della bauxite in Guinea[12]).

Dunque l’ambulanza produce effetti disastrosi, e sono tutti effetti ineliminabili all’uso della stessa. Si dirà che il gioco vale la candela, ma anche dando per ammessa questa valutazione di convenienza, resta il fatto che quegli effetti indesiderati si producono lo stesso, contro la nostra volontà. Anzi, trovarsi a ragionare in termini di opportunità rispetto ai danni che la tecnologia provoca, ci rende ancora più cinici in quanto ci porta a giustificare ciò che non vorremmo.

Insomma, persino quando sembra essere sviluppata per il nostro bene la tecnologia ci rende irresponsabili di quello che facciamo, dei danni che arrechiamo, delle miserie che procuriamo come effetti di ritorno del suo utilizzo; e questo ci conferma che la Tecnologia non è mai neutrale, ma una progressione che invade, pervade, occupa, inquina, distrugge, sterilizza, separa, artificializza, spegne, uccide.

D’altra parte, il convincimento che la società tecnologica possa essere sensibile, ad esempio, a problematiche di tipo ecologico dei suoi utilizzatori, e possa rispettare l’ambiente, è già di per se stesso un controsenso. Non esiste una società tecnologica che sia eco-compatibile. O si desidera un mondo ecologico, o se ne vuole uno tecnologico: l’uno e l’altro insieme non sono possibili. Se si pensa che per produrre un semplice computer occorrono 20.000 litri d’acqua (la cosiddetta impronta idrica), la cosa diventa subito chiara. Se poi guardiamo all’automobile, la situazione si mostra ancor più evidente: per produrre un’auto di media cilindrata servono 150.000 litri d’acqua. Allora, cambia forse qualcosa se poi questo accidente mangia-mondo funzionerà con la benzina o con l’idrogeno? Paradossalmente cambia solo in peggio, perché più ci convinceremo che l’automobile non sia un flagello in sé ma qualcosa che è sufficiente far andare con qualche combustibile creativo perché tutto sia risolto, più noi compreremo automobili: consumando miliardi di litri di acqua per garantircene una sempre più ecologicamente aggiornata; consumando miliardi di litri di acqua per lastricare le strade del mondo che dovrà percorrere; consumando miliardi di litri di acqua per costruire ponti di cemento, viadotti, tunnel, servizi viari e di collegamento, guardrail, copertoni, batterie… E infatti, nel mondo delle auto ibride, delle auto elettriche e delle auto appunto a idrogeno in cui viviamo oggi, noi continuiamo a sventrare, a distruggere, a lastricare, a urbanizzare, a industrializzare in maniera sempre più aggressiva. Poi succede che si altera il clima; che scompaiono le stagioni; che le piogge diventano acide; che scende la neve chimica; che aumentano gli straripamenti fluviali, i tifoni, le tempeste. Chissà mai il perché?

E invece, nonostante tutto, il messaggio che la società tecnologica riesce a far passare nelle nostre coscienze sempre più sopite, è quello della sua inevitabilità, della sua neutralità, dell’impossibilità di farne a meno. E siamo così convinti di non poterne fare a meno proprio perché ne siamo diventati dipendenti. Facendo le cose per noi, infatti, la tecnologia ci toglie la capacità di saperle fare: più ci affidiamo alle macchine che fanno le cose per noi, più perdiamo la capacità di arrangiarci in piena autonomia, e dunque ricorriamo alle macchine stesse per supplire a questa nostra carenza. Nei fatti, proprio perché la Tecnologia è considerata comoda, e fa le cose per noi, la Tecnologia ci pone alla mercé della Tecnologia stessa, fino all’estremo limite di disabilitazione che invoca l’idea che i problemi umani possano essere risolti solo dalla Tecnologia.

Sprofondati in questo circolo vizioso che reclama Tecnologia per risolvere i problemi dell’umanità, Tecnologia per migliorare le condizioni dell’umanità, Tecnologia persino per riparare ai danni provocati dalla Tecnologia, la direzione diventa unica, proiettata verso il baratro. L’arrivo anche in Italia delle Cabine di Sanificazione (fisse o gonfiabili) che spruzzeranno degli agenti chimici addosso a chiunque accederà ai luoghi che ne saranno dotati (uffici pubblici, banche, scuole, case di riposo, ospedali, negozi; ma anche cantieri, stabilimenti balneari, stadi, siti per concerti indoor o all’aperto), ci dice una volta di più che il mondo tecnologico non è riformabile: la sua corsa verso il peggio resta inarrestabile, e coinvolge chiunque pensi di resistervi.

D’altronde, se solo trent’anni fa sarebbe stato inconcepibile pensare a un controllo sistematico di ogni persona al mondo, da quando la Tecnologia ha reso telematico il controllo tutto è diventato automatico e indiscutibile. Come ha spiegato già diversi anni fa il sociologo britannico David Lyon, una minima distrazione sul terminale dell’ufficio può essere immediatamente accertata (e subito segnalata alla direzione) da una Mailcop, e cioè una e-mail di controllo poliziesco che, dall’interno del computer, appunto, automaticamente, «richiama i lavoratori qualora il loro utilizzo della posta elettronica venga meno alle regole stabilite dall’azienda»[13]. Il numero delle battute sulla testiera che un operatore di un call center compie quotidianamente sul terminale e la durata delle chiamate telefoniche ricevute possono essere facilmente controllate per via elettronica e utilizzate come dati documentali per licenziare o punire i lavoratori giudicati poco produttivi[14].

In tutto il mondo diventò famoso il caso di quegli operai «di una fabbrica d’automobili Toyota ubicata in Inghilterra [che] furono sorpresi di scoprire che l’analisi delle urine era di routine ed era effettuata automaticamente nel bagno»[15] attraverso sistemi altamente tecnologici di prelievo occulto dei campioni. E se solo trent’anni fa questa intromissione nella vita delle persone era ancora considerata scandalosa e inaccettabile, oggi, nel mondo in avanzato stato di tecnologizzazione in cui viviamo, il furto di simili dati personalissimi o l’intromissione nella carne di ognuno di noi non è nemmeno più un fatto rilevante. Molto presto, dunque, non ci ritroveremo soltanto intossicati da Cabine di Sanificazione che oggi spruzzano prossimosolfato o euclorina addosso a tutti e domani, perché no, anti-depressivi o altri psicofarmaci (già oggi, il fatto che in farmacie pubbliche campeggino pubblicità di anti-depressivi la dice lunga sulla direzione intrapresa). Molto presto ci ritroveremo anche termo-scan rilevatori della febbre nelle stazioni dei treni, dispositivi metal detector per l’identificazione dell’identità personale all’entrata di fabbriche e metropolitane, mappatura genetica di tutti e vendita dei dati. Molto presto saremo invasi da sistemi di tracciamento della vita intera delle persone, ovviamente sempre più integrati alle applicazioni dei nostri smartphone e che, nel rilevare dove siamo in ogni momento, con chi siamo in ogni momento, cosa stiamo facendo in ogni momento e per quanto tempo, renderanno conto a chi di dovere delle nostre condizioni di salute, dei nostri pensieri, del nostro umore, delle nostre emozioni più intime, rendendoci sempre più trasparenti e deboli verso il Potere. Già oggi la stupidità con la quale ci approcciamo a questa “iniziale” tecno-invasione della riservatezza dice tutto: “Che problema c’è nel far sapere tutto di me?”, ci raccontiamo. “Io non ho niente da nascondere!”. Con questo interrogativo semplicistico dalla risposta ottusa, che inverte il senso delle cose criminalizzando chi tiene per sé ciò che lo riguarda, la riservatezza non viene soltanto negata, ma ridotta a motivo di sospetto. “Colui che si protegge è un potenziale criminale”, insegna questa prassi. Ed è proprio questa mentalità che la società digitale tende a favorire. Un controllo sempre più esteso, incessante, senza limiti di spazio né di forza d’intrusione ha bisogno anche di stupidità, remissività, rincoglionimento generale per passare come comune, consueto, naturale. Che poi questa vessazione continua procuri solo infelicità, è tutto un altro conto. Ma non rileva.

Se non è la libertà ciò che la Tecnologia garantisce (spingendoci come si diceva nella dipendenza dalle macchine), non è nemmeno la felicità il traguardo assicurato dalla società tecnologica.

Anzi, la vita artificiale, repressiva, diserbata di umanità, isolata, sterilizzata, condotta in una crescente dipendenza da marchingegni e rimedi di sintesi, costantemente soggetta a un controllo sociale ubiquo e destinata a un’inazione deleteria rotta soltanto da una conformità sociale sempre più accentuata, sviluppa solo desolazione, frustrazione, senso di vuoto, noia, desiderio di fuga, bisogno di sballo, malanimo, risentimento, disperazione.

Una vita innaturale che ci separa dalla terra, dal cielo, dal sole, dall’aria pura, dagli altri, e che con la scusa di proteggerci da ciò che non ci minaccia c’infila in scatole chiuse (case) all’interno di complessi concentrazionari di cemento e asfalto (città) riducendoci a sedentari fruitori di servizi digitali, non è una vita felice. «Vi è mai capitato di notare che una persona davanti a uno schermo difficilmente sembra felice?», chiedeva al riguardo il neurologo tedesco Manfred Spitzer[16]. Stare tutto il giorno appiccicati ai nostri device a tastar tastiere, toccare schermi e pigiar bottoni, implica solo il diffondersi di quella tristezza e di quell’immiserimento generalizzato che l’aumento di uso di psicofarmaci, di suicidi, di malattie croniche e nervose denunciano quotidianamente nel totale disinteresse di tutti.

Perché la tecnologia è anche questo disinteresse per la condizione naturale umana che coltiva, a vantaggio di un’eccitazione indotta verso la vita culturale: e cioè verso una vita in streaming, distaccata dal nostro contesto ambientale, dagli altri, da noi stessi.

Anche prima del coronavirus, infatti, vivevamo sempre meno a contatto con i nostri simili. Grazie alla Tecnologia, è da tempo che non ci parliamo più negli occhi, ma ci mandiamo whatsapp; è da tempo che non c’incontriamo più di persona, ma ci tele-intratteniamo via skype; è da tempo che non viviamo più esperienze dirette, ma guardiamo storie su Instagram o impariamo nozioni da libri, televisione, Web.

La Tecnologia non agisce solo ai fini del nostro sempre più marcato isolamento esteriore, ma anche per quello interiore. Essa ci fa credere di essere connessi con il mondo solo perché inviamo messaggi elettronici in tutto il globo, ma intanto ci disabitua a parlare coi nostri cari, coi nostri vicini, coi nostri genitori e figli: vedere famiglie o coppie di amanti al ristorante che non si parlano tra loro perché ognuno è preso dal suo smartphone, è un’esperienza sempre più comune oggi. La Tecnologia sostituisce le comunità reali con quelle virtuali, che sembrano sempre più dirette e partecipate, ma sono solo popolate da singolarità prive di alcuna complicità, disarmoniche tra loro, spesso in contrasto su ogni questione e comunque collocate in una dimensione di distanza che rende distanti, non vicini. La Tecnologia ci disabitua anche alle esperienze reali: invece di salire sugli alberi, i bambini di oggi giocano con la PlayStation; invece di fare l’amore tra loro, gli adulti di oggi si usano e consumano reciprocamente davanti a uno schermo; invece di confrontarsi e crescere nell’acquisizione di conoscenze di vita e di autonomia, le persone di oggi accumulano serialmente nozioni, notizie, informazioni e ripetono a pappagallo lezioni, concetti, mode, stili di vita.

Come se non bastasse, la Tecnologia ci evita anche di avere bisogno degli altri. «Un tempo, se si giungeva in una città sconosciuta e si doveva andare in un certo posto, si fermava un passante e gli si chiedevano indicazioni. Questa semplice richiesta di assistenza attivava lo svolgersi di un rapporto umano, dando alle parti la possibilità di sperimentare il significato reale dell’interazione: la capacità di richiedere aiuto; quella di offrire collaborazione; il piacere di sentirsi appagati nel mettere in campo se stessi per risolvere un problema altrui. Difficilmente, infatti, una volta chiesta un’indicazione a un passante, questi non si rendeva disponibile: poteva farlo con maggiore o minore partecipazione (soprattutto se non conosceva nemmeno lui le indicazioni per arrivare alla meta), ma si attivava sempre.

«Oggi, grazie ai navigatori satellitari, non c’è più bisogno di chiedere nulla a nessuno, e nessuno è più chiamato a dare una mano a nessuno. Perché la tecnologia, appunto, c’insegna a non avere bisogno degli altri: c’insegna ad arrangiarci da soli, a fare tutto senza compartecipazione, a imparare a considerare noi stessi e il nostro ego come l’unica condizione di valore esistente o di riferimento. L’individualismo più becero, così come il consumismo più menefreghista, nascono appunto da questa ottusa chiusura verso il mondo reale fuori di sé»[17].

Naturalmente, in un mondo tecnologico la crescente incapacità di relazionarsi con gli altri va di pari passo con l’inattitudine a misurarsi con le proprie emozioni, perché la Tecnologia garantisce anche questo lavoro continuo di separazione da sé, impedendoci di affrontare la vita reale col suo carico di emozioni da riconoscere, sentire, esprimere: la Tecnologia ci evita ad esempio di chiedere scusa di persona; ci evita di disdettare un appuntamento guardando negli occhi chi sarà “bidonato”; ci evita di manifestare cordoglio abbracciando qualcuno realmente (oggi vanno di moda le condoglianze online). La Tecnologia ci evita persino di dover confessare un amore stando davanti a chi amiamo (oggi ci si mette insieme e ci si lascia con un sms o un whatsapp).

Riuscire a comunicare i nostri stati d’animo significa anche imparare a capire e a comprendere quelli degli altri. Pertanto, il disadattamento relazionale imposto dalla società tecnologica produce un analfabetismo emozionale che è devastante. John Zerzan ha recentemente chiamato la nostra era: l’età dell’autismo. In realtà, è già dal 2001 che si parla in questi termini della società digitale. Yehuda Baruch, docente alla Southampton Business School, è stato il primo studioso a rilevare l’esistenza di un nesso causale tra autismo e sviluppo della società contemporanea, e, in un articolo pubblicato sulla rivista americana Information & Management, ha parlato appunto della nostra come di una società autistica (il dato statistico che lega l’aumento dell’autismo alla tecnicizzazione della società è un dato provato: più i paesi sono tecnologicamente avanzanti, più aumenta il fenomeno dell’autismo, che infatti è massimo negli Stati Uniti d’America ove una persona su 68 ne è affetta).

UN MONDO TECNOLOGICO È UN MONDO SEMPRE PIÙ STERILE, ALIENATO, DISTANZIATO, ISOLATO, TOSSICO, RECLUSO, SPIATO, CONTROLLATO, SOGGIOGATO, MANIPOLATO…

E tutta questa razzia crescente non solo non si ferma, ma corre avanti a una velocità sempre più incalzante. Tutto sembra procedere da solo nel mondo tecnologico, senza bisogno di noi (dell’umano che è in noi). E a nulla vale arrovellarsi il cervello per cercare di comprendere cosa stia accadendo, perché la Tecnologia non supporta un universo che abbia cura di chiedersi “perché”, ma solo uno che abitua tutti a chiedersi “come si fa”: come si fa a collegarsi a internet? Come si fa a scaricare questa app? Come si fa ad accendere il respiratore artificiale che tra un po’ saremo costretti a usare?

Nel mondo delle macchine, insomma, non solo stiamo male, ma non è richiesta nemmeno alcuna nostra partecipazione attiva che dia un senso profondo al nostro esistere. Nel mondo delle macchine serve solo un infinito adattamento al potere della macchina, con tutto quel che ciò comporta anche in termini di perdita di ogni capacità critica: perché è del tutto ovvio che più dipenderemo dalle macchine, meno saremo disposti a criticarle.

Non sbaglia Robert Kennedy Jr. quando, descrivendo la distopia nella quale siamo tutti caduti, suggerisce: «Immaginate un mondo in cui il governo non abbia bisogno di agenti di polizia per […] farvi la multa quando violate la distanza sociale con la vostra ragazza. Supponiamo che i computer scoprano il vostro viaggio al mare tracciando i vostri spostamenti con un flusso di informazioni provenienti dal vostro cellulare, dalla vostra auto, dal vostro GPS, dalla tecnologia di riconoscimento facciale integrata con la sorveglianza in tempo reale da satelliti, telecamere montate e chip impiantati. I procuratori o i robot vi notificheranno via SMS la vostra violazione e contemporaneamente ritireranno la vostra penale di $1.000 in valuta criptata dal vostro conto del libro paga»[18]. Sbaglia solo, Robert Kennedy Jr., quando considera questo Mondo Nuovo come il mondo di Bill Gates. Questo non è il mondo di Bill Gates, ma il mondo tecnologico e terapeutico della civiltà: quello nel quale ognuno di noi già oggi vive, e che è solo una questione di tempo perché si manifesti con tutte le forme di vessazione immaginabili e inimmaginabili.

Dalle Prove Tecniche di soggezione della popolazione mondiale ci hanno guadagnato tutte le Industrie e le Consorterie più potenti del mondo: l’Industria sanitaria, ovviamente, con una popolazione mondiale che potrà essere intimidita e terrorizzata a comando paventando semplicemente l’arrivo di un nuovo virus mietipersone; l’industria finanziaria che guadagnerà dagli investimenti della “ricostruzione”; l’industria del digitale, i cui colossi potranno disporre di un mondo sempre più sotto sorveglianza, tutto proiettato verso la virtualità e dunque gravido di prospettive di colonizzazione universale. L’annuncio dell’avvio del progetto To Africa col quale Facebook e altre multinazionali della telefonia (Vodaphone, China Mobile International, MTN Global Connet, STC, Orange, Telecomegypt, eccetera) intendono cablare l’intero continente africano con una rete di cavi sottomarini lunga 37.000 chilometri che partirà dalla Gran Bretagna, scenderà verso il Portogallo e giù a circondare l’Africa intera collegandola a nord con l’Europa e ad est col Medio-oriente, ne è l’ultima prova. Lo scopo è quello di portare la Banda Larga e il 5G anche in quell’area geografica, e garantire a quelle popolazioni di poter far uso delle più moderne tecnologie per quanto riguarda la trasmissione Tv in alta definizione, i servizi di video-conferenza e le applicazioni di Internet mobile (così è ufficialmente riportato nel sito To Africa)[19]. Il geografo e giornalista Manlio Dinucci, commentando la notizia, ha dichiarato: “Nella crisi da coronavirus […] ne escono fuori […] i tech-giants, i Giganti Tecnologici […] (Facebook, Google con YouTube, la Apple, Microsoft) che stanno estendendo i loro poteri non solo economici, ma politici e anche di carattere militare. Il caso emblematico è quello appunto dell’Africa. Si va a offrire a paesi dell’Africa sub-sahariana dove, ci dicono i dati, oltre la metà della popolazione (600 milioni) è priva di elettricità, […] la Banda Larga […] e il 5G. […] direi che i 37.000 chilometri di cavi che Facebook si appresta a costruire attorno all’Africa sono la versione moderna delle antiche catene coloniali”[20].

Del resto, se c’era ancora bisogno di una conferma che il governo del mondo non è più nelle mani dei politici, ma dei poteri forti, basta pensare a YouTube che censura il Parlamento italiano, e segnatamente un video contenente le dichiarazioni di una parlamentare fatte alla Camera dei Deputati[21], o di Twitter che può permettersi di censurare un post del Presidente degli Stati Uniti d’America perché considerato d’incitamento alla violenza[22]. E quando l’ennesimo parlamentare della Repubblica Italiana, il Senatore Saverio de Bonis, dichiara testualmente che “noi sappiamo bene […] che questo Ministero [il Ministero della Salute, N.d.R.] già durante la emergenza Covid ha preso istruzioni dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, che non è un’Autorità pubblica: ci sono soggetti privati all’interno dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. E noi abbiamo visto come il Ministero della Salute, tutti i Ministeri della Salute, siano stati subalterni a questo Ente”[23], ogni residuo dubbio è definitivamente fugato.

Tuttavia, ancora più a monte del potere delle Grandi Corporazioni Mondiali (che da ora potranno fare e disfare qualsiasi cosa a loro totale piacimento), quel che ne esce rafforzata da questo terribile secondo giro di vite datato 2020, è la civiltà. “Siamo tutti più buoni”, ci raccontano i media dopo quattro mesi di terrorizzazione sanitaria generalizzata e due mesi di arresti domiciliari senza reato. No, non siamo più buoni. Siamo solo tutti più frastornati, bastonati, confusi. In una parola sola: siamo tutti più docili. Dunque semplicemente meglio manipolabili, meglio governabili; più disposti insomma a seguire passivamente la volontà di chi comanda di volta in volta.

D’altra parte, se, nonostante tutto, riusciamo ancora a percepire l’orrore di questo tecno-universo finanziario e terapeutico che ci sta annientando, ma non faremo nulla per fermarlo, quel che accadrà è che anche quel poco di umano che ancora ci rimane addosso sarà aggredito e spento. Anche le nostre emozioni potrebbero presto essere scansionate, rielaborate dalle macchine e poi via via soppresse. E quel che ne residuerà d’indomabile, potrebbe venir considerato un problema di ordine pubblico o qualificato scientificamente come una malattia. Proprio come nel film Equals (USA, 2015) del giovane regista statunitense Drake Doremus: gli “equals” (eguali) sono gli abitanti de “Il Collettivo” una società altamente tecnologica, rigidamente conformata, manipolata geneticamente e totalmente addomesticata, nella quale tutte le persone, attraverso esperimenti scientifici realizzati nel tempo dal Governo, sono state rese incapaci di provare sentimenti. Camminano in fila, lavorano produttivamente senza sosta per mantenere vivo il Sistema, mangiano meccanicamente alla mensa aziendale e dormono in apposite postazioni di riposo site all’interno di abitazioni dalle pareti di vetro. Vivono e producono senza provar più nessun sentimento, nessuna emozione, nessun fremito: nemmeno davanti al maltrattamento di un collega; nemmeno davanti al suicidio di qualcuno; nemmeno davanti alla morte di un proprio caro. Guardano agli abitanti della Penisola (l’unica zona del mondo non più civilizzata e ridivenuta selvaggia) come a dei barbari “ancora dominati da emozioni e bassi istinti, antico retaggio del nostro passato”, che vengono definiti gli “Imperfetti”.

Questa società distopica, tanto stabile e non violenta, quanto mantenuta in equilibrio in maniera farmacologica, è percorsa però da una terribile malattia: la SOS (Switched On Syndrome, ovvero, letteralmente, “sindrome di deviazione” – infelicemente tradotta nella versione italiana del film come “sindrome da eccitazione”). E cioè l’incontrollata manifestazione di residui di emozioni umane, che può crescere nei soggetti fino a indurli a reazioni sconsiderate come la ribellione o l’amore.

La voce della Propaganda, che si diffonde continuamente dagli altoparlanti in tutto il Collettivo, tiene ben governati i sudditi curandosi del fatto che producano e che vivano nel terrore della SOS, affezione contenibile solo attraverso dei farmaci “inibitori” dei sentimenti: “Partecipa alla cura assumendo gli inibitori”, invita infatti la suadente voce meccanica femminile della Propaganda: “La tua salute è la salute del Collettivo”. Sembra Conte! Sembra la voce dell’OMS, di Big Pharma, di Bill Gates. Ma sembra anche la voce tristemente conformata dei tanti Liberatori di Professione che oggi mirano ad affrancare le masse dal potere del governo 5 Stelle e PD per sottometterle al loro futuro governo: proprio come fecero i 5 Stelle e il PD prima di salire in cattedra.

Anche nel mondo di Equals la felicità non esiste; anzi, regna proprio l’infelicità più assoluta, tanto da essere un mondo quotidianamente pervaso da suicidi di individui che, smarrita ogni capacità di sopportazione, si gettano dall’alto dei palazzi di vetro sigillati. E quando il protagonista maschile di questo film, un certo Silas (Nicholas Hoult), presa coscienza dell’insopportabilità di un tale universo tecno-programmato, giungerà fino a innamorarsi di Nia (Kristen Steward), dovrà proprio fare i conti con la sindrome di deviazione. Il video che il suo medico di fiducia gli farà ascoltare per indurlo a farsi manipolare dalla Medicina, è molto simile a quello che il Potere Sanitario Mondiale vorrebbe poter già preparare oggi, e comunque è molto simile a quello che presto potremmo essere tutti costretti ad ascoltare: “Se stai guardando questo filmato – spiega la voce del video a Silas – il tuo medico ti ha diagnosticato la SOS, Sindrome da Eccitazione. In quanto membri del Collettivo sentiamo parlare spesso di questa sindrome. Ora ti forniremo importanti informazioni su come questa debilitante malattia si manifesta, e come riuscire a gestirla prima di un eventuale isolamento al Centro per la Cura del Disturbo Emotivo Neuropatologico: il DEN.

“La sindrome da eccitazione è un malfunzionamento del silenziamento genetico che controlla le emozioni umane ed elimina i difetti. Ma nella sindrome da eccitazione i geni malati perdono il silenziamento e si riattivano dando origine a esperienze sensoriali imprevedibili e deficit comportamentali. Finché non si sarà trovata una cura, gli inibitori sono l’unico mezzo efficace per rallentare l’evolversi della malattia e attenuare l’insorgenza di emozioni. E mentre le cause restano sconosciute, ben noto è lo sviluppo della malattia. Durante il primo stadio potrete provare sensazioni intermittenti, difficoltà di concentrazione, depressione, dolore, senso di soffocamento, esaltazione e sensibilità alla luce. Con l’avanzare degli stadi successivi, il basso livello emotivo costante e la volatilità emotiva andranno peggiorando. Al quarto stadio, caos comportamentale acuto: non sarete più in grado di agire come membro produttivo del Collettivo e il vostro medico vi prescriverà l’isolamento al DEN, dove sarete sottoposti a contenimento elettrico, silenziamento emotivo e vi verrà offerta una morte indolore. Se avete domande sulla vostra condizione, contattate il vostro medico o gli Agenti della Salute e Sicurezza per un colloquio. E ricorda: la cura è appena dietro l’angolo!”.

A buon intenditor…

Se, anche di fronte a quello che siamo stati costretti a subire in questi ultimi quattro mesi, siamo ancora in grado di sorridere pensando che Equals in fondo sia solo un film, vuol dire che ci meritiamo la dittatura della Scienza. Quello che potrebbe essere detto a commento di una simile tragedia, è molto semplice, e prende lo spunto dal famoso “dilemma del controllo” di David Collingridge: «nel momento in cui possiamo fare qualcosa riguardo a una nuova tecnologia non ne sappiamo abbastanza e, quando ne sappiamo abbastanza, è troppo tardi»[24]. Vale appunto la stessa cosa anche per il totalitarismo: nel momento in cui possiamo fare qualcosa riguardo a una deriva dittatoriale non pensiamo che sia un problema, e quando ci accorgiamo che è un problema, è troppo tardi.

Siamo in pericolo, in grave pericolo! E non abbiamo molto tempo da perdere! Se non cominceremo subito a sviluppare una precisa consapevolezza dello stato delle cose, e continueremo a giocare con il fuoco, succederà presto o tardi che, senza nemmeno accorgercene, ci ritroveremo tutti a credere che le nostre emozioni siano solo una “debilitante malattia sorta per via del malfunzionamento del silenziamento genetico che controlla le emozioni umane ed elimina i difetti”. Una malattia da curare con l’assunzione di inibitori “per attenuare l’insorgenza di emozioni” e, in caso di fallimento farmacologico, con un “immediato isolamento al Centro per la Cura del Disturbo Emotivo Neuropatologico”, disposto dagli “Agenti della Salute e Sicurezza”. Così potremmo essere felicemente “sottoposti a contenimento elettrico, silenziamento emotivo e a una morte indolore garantita dallo Stato”, nostro Benefattore e curatore della nostra programmata incapacità di provare sentimenti.

Auguriamoci di poterci svegliare presto dal torpore di questa nostra vita incivilita, condotta da viziati e abbruttiti membri (dis)umani di questa terribile società terapeutica, digitale e panottica, e di ricominciare a riattivare quei geni “malati” che ancora restano irriducibili al silenziamento istituzionale organizzato, e che danno origine a quelle “esperienze sensoriali imprevedibili” che chiamiamo emozioni, sintonia, empatia, intimità, amore, complicità, felicità, voglia di libertà, rigettando la direzione senza uscita di quel tecno-universo artificiale che vuole trasformarci in macchine, per prendere la via opposta e ridiventare, come un tempo primitivo, “Imperfetti”: ossia esseri selvatici, naturali, non-addomesticati.

 

Enrico Manicardi

 

 

NB) Sul tema Coronavirus si ascoltino anche le interviste rilasciate da Enrico Manicardi a diverse radio locali, e caricate su questo sito (sezione “Interviste radio e tv” – parte “Audio”).

_________________________

[1] ISTITUTO SUPERIORE DI SANITÀ, Caratteristiche dei pazienti deceduti positivi all’infezione da SARS-CoV-2 in Italia, dati al 18 giugno 2020, in: https://www.epicentro.iss.it/coronavirus/bollettino/Report-COVID-2019_18_giugno.pdf

[2] Cfr. A. FRANCAVILLA, Coronavirus morto, virus debole… Anzi no, non ci sono prove. Nuova guerra tra virologi, in: «blitzquotidiano.it», del 31 maggio 2020. Riportato in: https://www.blitzquotidiano.it/salute/coronavirus-morto-virologi-virus-3193074/

[3] Cfr. L’ARENA, “È vero, il virus ora è clinicamente morto”, in «larena.it» del 19 giugno 2020. Riportato in: https://www.larena.it/home/veneto/e-vero-il-virus-ora-e-clinicamente-morto-1.8113358

[4] Cfr. G. GUARINO, Il coronavirus è clinicamente morto?, in «funweek.it» dell’8 giugno 2020. Riportato in: https://www.funweek.it/fotoracconto/non-e-larena-scontro-tra-virologi-massimo-giletti/5/il-coronavirus-e-clinicamente-morto/  

[5] Cfr. A. CINQUEGRANI, Pandemia, una “strage di Stato”/ il potente j’accuse di Giulio Tarro, in lavocedellevoci.it del 12 giugno 2010. Riportato in: http://www.lavocedellevoci.it/2020/06/12/pandemia-una-strage-di-stato-il-potente-jaccuse-di-giulio-tarro/

[6] Ibidem.

[7] Citato in: F. CARLINI, Internet, Pinocchio e il Gendarme. Le prospettive della democrazia in rete, Manifestolibri, Roma 1996, pag. 220.

[8] Cfr. E. MANICARDI, L’ultima era. Comparsa, decorso, effetti di quella patologia sociale ed ecologica chiamata civiltà, Mimesis, Milano – Udine 2012, pagg. 218-219.

[9] Cfr. S. VAIDHYANATHAN, La grande G. Come Google domina il mondo e perché dovremmo preoccuparci (2011), Rizzoli, Milano 2012, pag. 2.

[10] Ibidem, pag. 1ss.

[11] Cfr. E, MANICARDI, Rete, oppio dei popoli. Internet, social media, tecno-cultura: la morsa digitale della civiltà, Mimesis, Milano – Udine 2020, pag. 27.

[12] Cfr. M. GATTI, La maledizione della bauxite, in: https://www.nigrizia.it/notizia/la-maledizione-della-bauxite

[13] Cfr. D. LYON, La società sorvegliata. Tecniche di controllo della vita quotidiana (2001), Feltrinelli, Milano 2002, pag. 54.

[14] Si veda: Ibidem, pag. 55.

[15] Riportato testualmente in: Ibidem, pag. 12.

[16] Cfr. M. SPITZER, Demenza digitale. Come la nuova tecnologia ci rende stupidi (2012), Il Corbaccio, Milano 2013, pag. 227.

[17] Cfr. E. MANICARDI, Rete, oppio dei popoli, cit., pag. 249.

[18] Cfr. R. KENNEDY JR., Il “Mondo Nuovo” di Bill Gates, in: https://www.nogeoingegneria.com/motivazioni/sociale/robert-kennedy-jr-il-nuovo-mondo-di-bill-gates/

[19] Si veda: BYOBLU24, Tutti schedati. In corso la mappatura genetica senza consenso, Edizione del TG del 18 giugno 2020, in: https://www.youtube.com/watch?v=wr2KmnlgnyI

[20] Riportato in: Ibidem

[21] Il riferimento è al video che riportava l’intervento alla Camera dei Deputati della parlamentare Sara Cunial, censurato da YouTube il 17 giugno scorso perché avrebbe “violato le norme della Community”.

[22] CORRIERE DELLA SERA, Minneapolis, Twitter segnala un altro post di Trump per incitamento alla violenza, in «corriere.it» del 29 maggio 2020. Riportato in: https://www.corriere.it/esteri/20_maggio_29/minneapolis-twitter-segnala-altro-post-trump-incitamento-violenza-802ff2c0-a182-11ea-972c-41555f8ee621.shtml

[23] Si veda: BYOBLU24, Tutti schedati. In corso la mappatura genetica senza consenso, cit.

[24] Così sinteticamente riportato in: M. SCHWARZ – M. THOMPSON, Il rischio tecnologico (1990), Guerini e Associati, Milano 1993, pag. 151. Cfr. D. COLLINGRIDGE, Il controllo sociale della tecnologia (1980), Editori Riuniti, Roma 1983, pagg. 15-16.