Modena, 8 giugno 2020
ANDARE ALLA CAUSA DEL PROBLEMA
C’è una prassi sconsiderata che guida la nostra comune ricerca della soluzione ai problemi che ci riguardano: è quella di reagire prendendosela coi sintomi dei problemi, invece di chiedersi cosa li originino e agire sulla loro causa. Condizionati dalla follia del mondo in cui viviamo, che non ha tempo da perdere per farsi troppe domande, che non si cura di questioni a lungo periodo o di cose complicate, che riduce le persone a masse indistinte da governare, e nel quale noi stessi ci facciamo trattare da greggi di pecore da immunizzare, tutti ci occupiamo dei sintomi dei problemi e non delle loro cause.
Eppure, se io cominciassi a dare testate sempre più forti al muro e poi, una volta sopraggiunto il mal di testa, invocassi il ricorso a un antidolorifico per far passare il male (pur continuando a battere la testa), chiunque mi considererebbe uno sconsiderato. Tutti, cioè, sarebbero in grado di comprendere che il mal di testa è il sintomo del problema, mentre le capocciate al muro la causa; e che per risolvere il mio problema non serve affatto prendere l’antidolorifico, ma smettere di battere la testa.
Purtroppo, l’ottusità procura un sacco di soldi e di potere a chi gestisce le sorti della nostra vita, dunque è proprio questa che viene continuamente favorita. La Medicina, per esempio, è in prima linea nella campagna intesa a renderci tutti fieri sostenitori dell’ottusità. Istruendoci proprio a prendercela continuamente con le manifestazioni sintomatiche dei nostri malesseri (il mal di pancia, il capogiro, il vomito, la stipsi, l’infiammazione, la febbre), ci devia dalla possibilità di chiederci quali siano le ragioni delle nostre disaffezioni e, rassicurandoci di saper togliere coi suoi rimedi miracolosi ogni dolore, ogni sanguinamento, ogni tumefazione e livido, ci spinge a continuare a battere la testa. E noi, che siamo stati via via espropriati della nostra naturale attitudine ad andare alla fonte dei nostri problemi, e poi educati a sopprimere qualsiasi segno rivelatore di essi, ci gettiamo fiduciosi nelle braccia bugiardamente materne della Medicina confidando nei suoi prodigiosi veleni (il termine “farmaco” deriva dal greco phàrmakon che significa appunto “veleno”). Questi ultimi, per conto loro, dopo decenni di affinamento chimico-farmaceutico, sanno in effetti sopprimere quasi istantaneamente qualsiasi sintomo possibile, e riescono così a farci credere di aver risolto il problema. Salvo poi ritrovarci qualche tempo dopo col sorgere di indesiderati effetti esteriori, capaci solo d’indurci all’acquisto di altri medicinali che, nell’assicurare lauti guadagni e potere a chi li produce e li spaccia, garantiscono a chi li consuma che la causa originaria del problema non venga più indagata, e che resti dunque perennemente lì a creare nuovi malanni e rinnovate necessità d’intervento medico e farmacologico.
Un simile sistema d’intrappolamento, un tempo lo si sarebbe definito in maniera ben più esplicita che non come un semplice “circolo vizioso”. Ma si sa: quando è lo Stato, il Governo, il Potere a comportarsi da criminale, non c’è mai nessun crimine: al massimo un sopruso, che però in genere è tollerato dai più. Anzi, ultimamente, alla tolleranza generale verso gli abusi di potere si è aggiunto persino il cinismo delle Autorità che risponderebbero politicamente di quegli abusi, e che possono arrivare fino a divertirsi a prendere in giro le vittime di crimini di Stato. Proprio come per la macabra esecuzione per soffocamento che il 25 maggio scorso un poliziotto statunitense ha compiuto uccidendo l’afroamericano di Minneapolis George Floyd, e che il Comandante in Capo dell’Impero Americano, Donald Trump, in un discorso tenuto qualche giorno dopo a Colorado Springs, ha appunto dileggiato in pubblico con una scenetta allucinante: “I can’t breathe! I can’t breathe!”, ripeteva Trump tra le risa e gli applausi della gente, soffocando fintamente la voce, stralunando appositamente gli occhi e portandosi la mano al collo come a farsi beffa di Floyd e del suo ultimo grido d’asfissia diventato lo slogan del movimento di protesta scoppiato in tutti gli Stati Uniti d’America contro la violenza poliziesca e l’immunità di Stato loro garantita. “I can’t breathe! Don’t ask me the question, please!”[1] [“Non respiro! Per favore, non fatemi parlare di questo caso!”].
Ve lo immaginereste Giulio Andreotti rispondere dell’assassinio dell’anarchico Pinelli cantando “Volare, oh oh…” con le braccia aperte come a simulare il planare di un gabbiano, tra le risa divertite e gli applausi di giornalisti e gente comune presente al suo discorso? Oggi, non sarebbe più una stupidata inimmaginabile… Evidentemente, nel mondo postmoderno è possibile che i crimini di Stato non vengano più coperti o insabbiati dalle Istituzioni, ma esibiti con derisione e baldanza dalle stesse Autorità politiche che ne dovrebbero rispondere.
Il mondo ritorto su se stesso in cui viviamo non smette di stupire, ed è proprio vero che non c’è un limite al peggio. D’altra parte, a guardar bene le cose, non è nemmeno il cinismo di Donald Trump la cosa più raccapricciante di cui dovremmo preoccuparci, ma gli applausi e il ridere delle persone che assistevano divertite alla sua cretinata. In fondo, dopo gli schiaffoni presi in faccia per aver pensato di licenziare Anthony Fauci, e la figura di merda fatta davanti al mondo intero (che ora sa quanto il Presidente degli Stati Uniti d’America non conti nulla), un po’ di frustrazione per il “burattino” più importante della Terra è comprensibile. Sono i suoi spettatori divertiti a lasciare attoniti. I paggi e i leccaculo sono sempre esistiti, è vero. Ma qui non si tratta di questioni aziendali o di carriere in gioco, bensì di Dignità umana. Le dittature non esistono senza la gente disposta a farsi maltrattare, e a ridere dei maltrattamenti che l’Autorità riserva ai propri sudditi umiliati. “Quando diceva puttana e vecchia stronza, lei alludeva a sua moglie, vero?”, minacciava il megadirettore Catellani al povero ragionier Fantozzi colto in flagrante mentre imprecava contro la statua in bronzo della madre del Capo. “Sì, come ha fatto a indovinare…”, rispondeva il celebre sottoposto. E il collega Filini di conferma: “Sì è vero signor Direttore. Tutti i giorni, all’entrata e all’uscita, lui dice a sua moglie: vecchia stronza e puttana!”.
Ma torniamo alla questione della causa e degli effetti.
Ogni problema presenta sempre dei sintomi, ma non sono quelli che debbono essere soppressi. I sintomi, infatti, stanno dalla nostra parte: sono il segnale di un corpo sofferente che ci dice che c’è un problema a monte; se noi sopprimiamo i sintomi, non solo non riusciamo più a comprendere quale sia il problema originario, ma ci precludiamo per sempre la possibilità di capirlo. «Agli occhi dei profani – scriveva in proposito Sigmund Freud nel 1899 – i sintomi costituiscono l’essenza della malattia; il loro cessare la guarigione»[2]. Eppure, continuava il padre della psicanalisi, «l’eliminazione dei sintomi non è […] la guarigione»[3] e ciò che «resta di afferrabile della malattia, una volta eliminati i sintomi, è soltanto la capacità di formarne di nuovi»[4]. Herbert Shelton, nel suo più noto trattato contro la scienza medica e il malsano regime alimentare che essa incoraggia, lo ha sostenuto in modo altrettanto esplicito: «le medicine vengono usate per alleviare i sintomi: antidolorifici, tranquillanti, medicine per “curare lo stomaco” e contro l’acidità. […] Non rimuovono le cause, pertanto non ristabiliscono buone condizioni di salute»[5]. E quando «la causa viene lasciata inalterata, continua a provocare danni»[6].
Insomma, rispondere alla domanda: “cosa fare?” senza prima aver risposto a quella precedente: “perché è successo?”, ci infila dritti in una strada chiusa. Eppure, siamo talmente convinti di fare bene, che facciamo così anche quando c’è in ballo la nostra salute: di fronte al mal di pancia, appunto, quel che ci preme è togliere via il male, non capire perché sia sorto; se ci aumenta la temperatura del corpo, agiamo subito per abbassare la febbre, non per cercare di comprendere cosa l’abbia alzata; se ci viene diagnosticata una calcolosi, non ci domandiamo il perché si sarebbe formata quell’aggregazione cristallina, ma solo come fare a toglierla di mezzo, estirparla, sbatterla fuori dal nostro corpo. E, una volta che ciò sia stato fatto, magari appunto con un intervento armato della chirurgia, per noi il problema è considerato risolto.
Questo «modo ottuso di vedere le cose è talmente radicato nella nostra forma mentis che anche nella vita sociale ci comportiamo in maniera identica: di fronte al crescere dei rifiuti urbani, la nostra prima reazione è quella di toglierli via da sotto il naso, non di chiederci perché abbiamo iniziato a produrne così tanti; di fronte all’espandersi dell’inquinamento, la nostra prima preoccupazione è quella di contenerlo con qualche trovata geniale, non di capire le ragioni che ci hanno indotto a inquinare in questo modo; se cresce la sofferenza psicologica delle persone, e queste stanno sempre peggio, il nostro primo cruccio è quello di riempire la loro vita con nuovi intrattenimenti, nuovi spettacoli, nuove feste e nuove distrazioni, non quello di cercare di capire perché stanno così male»[7].
Vale lo stesso oggi davanti alla Prove Tecniche di soggezione della popolazione ancora in corso: siamo stati chiusi agli arresti domiciliari per più di due mesi, ma non sembriamo per nulla interessati a capire il perché. Ci basta soltanto sapere che hanno riaperto i parchi, i confini regionali, le frontiere nazionali e per noi tutto è passato. Oppure, ci accontentiamo di batterci per sostituire ai criminali che ci governano altri filibustieri dalle promesse facili (e peraltro sempre uguali: istruzione, lavoro, diritti, comodità). Nell’uno, come nell’altro caso, non ci interessa capire cosa sia successo, inserirlo in un suo contesto di continuità, né tanto meno provare a porci domande più profonde sull’insopportabilità del mondo in cui viviamo. Ottenere che quel brutto male patito in questi mesi se ne vada via al più presto e non torni più, è tutto quello che vogliamo.
Purtroppo, però, la vita non funziona in questo modo. Tanto meno quella in cattività che conduciamo da diecimila anni e che di recente ha svelato a tutti il proprio intento di ridurci a mero materiale biologico perfettamente manipolabile. Se non cominceremo dunque a rivolgere le nostre attenzioni alle cause di quel che ci sta accadendo, ci ritroveremo presto nuove grane, costretti a far altri salti mortali per sopprimere gli effetti dei nuovi abusi che ci verranno scaraventati addosso: magari proprio dal governo Pappalardo o R2020. D’altronde, è solo così che noi stessi, e non invece chissà quale burattinaio occulto, possiamo rendere perpetuo il sistema degli abusi.
Ci sono risposte più profonde, che non la pura casualità, che spiegano le Prove Tecniche di soggezione della popolazione mondiale messe in atto nel 2020, e le associano ad esempio all’imposizione dell’obbligatorietà vaccinale ai minorenni del 2017. Possiamo anche non riuscire a fornire queste risposte giuste, ma è ora di cominciare quanto meno a porci le domande pertinenti.
Il problema che abbiamo non è il coronavirus, e nemmeno l’arbitrarietà delle Istituzioni di potere: queste sono solo conseguenze di un problema a monte. Un problema che ha generato le Istituzioni di potere, e dunque anche la smania di potere, la cupidigia, e la violenza messa in campo dalle stesse istituzioni per imporre i propri obiettivi. Che questi obiettivi comincino a rivolgersi direttamente a tutti e non più soltanto a poveri e diseredati, è una questione che da tempo è manifesta. Come era chiarissimo per esempio sin dagli inizi degli anni Settanta del Novecento al Movimento di Liberazione della Donna, «Noi non lottiamo per un potere femminile – è dichiarato nel mediometraggio L’aggettivo donna prodotto dal Centro Sperimentale di Cinematografia e realizzato nel 1971 dal Collettivo Femminista di Roma –. Il potere è una concezione maschile. Noi lottiamo per l’abolizione del potere. […] Noi abbiamo visto la strada che l’uomo ha seguito nel tentativo di migliorare le sue condizioni di vita, e come sia rimasto vittima del Sistema creato da lui stesso. E non vogliamo seguire la stessa strada. […] In questo tipo di società, noi lo sappiamo, non c’è libertà per nessuno, e tanto meno per l’uomo che crede di liberarci [di liberare la donna]. Nel migliore dei casi ci potrebbe rendere simili a lui. Noi non lottiamo per la parità dei diritti. Parità dei diritti, in questa società, significherebbe solo parità di sfruttamento, parità di alienazione, parità di miseria quotidiana»[8].
È il Sistema infatti il problema (causa), non ciò che di marcio esso produce (effetti). Il 5G, per esempio, non è un problema perché è particolarmente invasivo, ma lo è perché è Tecnologia. Infatti anche il 4G è un problema, come lo è il 3G e il 2G, anche se ci siamo abituati a sopportarli. Ed è vero che il 5G è decisamente più inquinante e pericoloso degli altri, ma se non sapremo andare alla fonte che lo ha via via reso sempre più necessario, non riusciremo mai a risolvere il problema. Vale lo stesso per il denaro, per i rapporti produttivi, per la povertà: non è la crescita economica il problema, né l’euro, né tanto meno il PIL o l’evasione fiscale. Questi sono tutti effetti di un problema a monte: l’Economia.
Non è dunque questo o quel potere il problema che abbiamo, ma il Potere. Non è questa o quella tecnologia il problema, ma la Tecnologia. Non è questa o quella scienza, questa o quella medicina, questa o quella politica, questa o quella economia a renderci la vita impossibile, ma la Scienza, la Medicina, la Politica, la Economia. In una parola sola: il problema che abbiamo è la civiltà.
Dopo i fasti del biopotere che, dalla seconda metà del Novecento ha immesso la forza delle Istituzioni direttamente nel campo della vita umana, cominciando a interferire con le attività biologiche e i relativi processi vitali (nascita, morte, sessualità, procreazione, eccetera), con la società digitale il controllo ha sfondato anche la barriera della psiche umana: quella delle emozioni. Come ha spiegato perfettamente il filosofo sudcoreano Byung-Chul Han, «Il panottico digitale non è una società disciplinare biopolitica, ma una società [auto-disciplinare] della trasparenza psicopolitica: al posto del biopotere subentra lo psicopotere. Grazie alla sorveglianza digitale, la psicopolitica è in grado di leggere e controllare i pensieri»[9].
Negli ultimi anni, un altro stravolgimento ha reso ancora più stretto il nostro cappio al collo. La società disciplinare, diventata auto-disciplinare grazie all’avvento del digitale, si è ulteriormente rafforzata grazie alla dimensione terapeutica che ha assunto, e oggi l’opera di divisione e impero sulle nostre sensibilità è stata completata: non solo le emozioni, ma anche i sentimenti, la salute e l’amore oggi non sono più di esclusiva competenza umana. Non solo infatti il controllo (elettronico) ora è totale, ma anche l’induzione a comportamenti comandati è perfettamente funzionante. Oggi cioè, nel tecno-mondo del bene comune e della salute garantita per obbligo di legge, non solo è possibile sapere tutto di ogni soggetto dotato di smartphone (da quali siano le sue preferenze a cosa compri di solito; da cosa pensi a cosa desideri), ma è ormai anche possibile guidarlo nella direzione segnata dal governo imponendogli se e come muoversi, se e come agghindarsi, se e come relazionarsi con gli altri, e ordinandogli a comando di stabilire distanza sociale, divieto di strette di mano, divieto di abbracci, di baci e di ogni altra manifestazione d’affetto.
La civiltà, insomma, entrata con la società digitale nella psiche della gente, ora lavora non più soltanto per sgretolare quello spontaneo senso di solidarietà umana che ci ha sempre preservato dagli abusi di potere, ma per polverizzare anche ogni affettività e ogni senso d’amore. Impedendoci appunto di toccarci, di abbracciarci, di starci addosso come ci pare, viene chiuso il cerchio del nostro imprigionamento esteriore e interiore. Il fatto che in questi mesi di restrizione domiciliare si sia potuto assistere a scene terrificanti come quelle in cui i nonni si rifiutavano di andare a trovare i loro nipotini per evitare di prendere il coronavirus, o come quella di genitori che ancora oggi non abbracciano i loro figli maggiorenni e danno loro il gomito (invece della mano o di un abbraccio), ci dice appunto quanto il Potere sia entrato dentro di noi e quanto sia oggi capace di guidarci in maniera telecomandata.
E visti i risultati di servilità coi quali abbiamo risposto a queste Prove Tecniche di soggezione della popolazione, quel che ci si prospetta davanti è solo un futuro di sempre maggiori sofferenze, di sempre maggiori isolamenti, disamori, separazioni e spettacoli tristi. Il tutto rafforzato da un apparato tecnologico che apparirà come salvifico e risolutivo, consentendo finti contatti sociali che garantiranno “immunità” da ogni contagio, e, allo stesso modo, finte relazioni, finti viaggi, finte atmosfere, finte amicizie, finti sollazzi e persino finte congiunzioni carnali attraverso il sesso virtuale (trasformando con ciò anche l’amore fisico in un mero sfogo genitale onanistico). Il consistente aumento di suicidi in questi ultimi tre mesi, e quello parallelo di casi da disturbi depressivi o maniaco-depressivi, mentre ci dicono che non siamo animali destinati a stare in gabbia, stanno definendo gli effetti di questa tecno-traiettoria terapeutica folle e sconsiderata: ci ammazzeranno piano piano con i loro farmaci o ci faranno impazzire nell’isolamento dei loro sistemi tecnologici di auto-reclusone e nell’incomprensione reciproca sempre più conclamata.
Del resto, com’è stato scritto, «le pratiche vaccinali appartengono allo stesso universo artificiale, interventista, scientista, antinaturalista che invoca la Rete, l’Internet delle cose, l’Intelligenza Artificiale e l’Ingegneria Genetica quali strumenti di guerra necessari a sottomettere la Natura al potere della Cultura. Proprio come i vaccini fanno parte dell’universo biotecnologico della (non) vita-in-vitro, i social media attengono a quello cibernetico della (non) socialità-in-vitro. Che si tratti di agenti sintetizzati in laboratorio per aggredire il sistema immunitario delle persone e farlo a pezzi, o dispositivi costruiti in fabbrica per imporsi sul loro sistema di relazioni, sulla loro identità individuale e sul complesso delle loro interazioni umane, resta il fatto che nell’universo della separazione e del controllo tecnologico il mondo sociale delle persone è sempre più arido, infranto, medicalizzato, privo di gioia e di re-attività»[10].
Il problema che abbiamo non è il coronavirus, e se non saremo capaci di allargare l’orizzonte per correre a ritroso alle fonti di questo nostro immiserimento progressivo, questo stesso immiserimento non potrà che aggravarsi in ogni aspetto della nostra vita, rendendo sempre più impossibile vivere e, in maniera ancor più decisiva, rendendo sempre più difficile riuscire a comprenderne le cause.
Non si tratta dunque di considerare solo la pesantezza della mano del Potere, come se si potesse considerare giustificata la traiettoria che stiamo seguendo se solo fosse stata imposta più dolcemente. A chi ancora oggi pensa che le restrizioni adottate dai governi siano state necessarie e opportune anche se un po’ esagerate, ma comunque efficaci nell’arginare un pericolo insormontabile che ancora potrebbe colpire chiunque (quante sono le persone che ancora girano bardate di mascherina ospedaliera pur non essendovi alcun obbligo giuridico?), provi una volta soltanto a dare un’occhiata ai dati ufficiali pubblicati dall’ISTITUTO SUPERIORE DI SANITÀ aggiornati all’ultimo Report sui deceduti con il COVID-19. Questi dati, riferibili al 4 giugno 2020, ci dicono in maniera cristallina che la Grande Messinscena del coronavirus è stata appunto una messinscena: un complesso cioè di accorgimenti utili a simulare una realtà diversa da quella esistente.
Precisato infatti che il governo ha fatto di tutto per evitare che si facessero persino le autopsie sui cadaveri dichiarati positivi al COVID-19, e con una circolare del Ministero della Salute, Direzione Generale della Prevenzione Sanitaria, ha disposto testualmente che (parte C) “1) Per l’intero periodo della fase emergenziale non si dovrebbe procedere all’esecuzione di autopsie o riscontri diagnostici nei casi conclamati di COVID-19 […]. 2) […] le Direzioni sanitarie di ciascuna regione daranno indicazioni finalizzate a limitare l’esecuzione dei riscontri diagnostici ai soli casi volti alla diagnosi di causa del decesso, limitando allo stretto necessario quelli da eseguire per motivi di studio e approfondimento”[11], su quei 3.335 cadaveri comunque refertati i risultati sono stati esemplari, capaci persino di spiegare tutta questa fretta del governo di bruciarli e di sottrarli comunque alle indagini necroscopiche.
Infatti, soltanto il 4,1% di essi è risultato morto per il coronavirus. In pratica, per parlare più concretamente di numeri e non solo di percentuali, sono solo 136 le persone ad oggi accertatamente morte per il coronavirus in Italia[12]. Ci siamo capiti? 136!!! Se anche volessimo proiettare questo dato al totale del campione di decessi rilevati (32.448) il numero resterebbe irrisorio: 1.330 vittime.
E questo conferma ciò che il 17 maggio scorso è stato denunciato in Germania dal Professor Klaus Püschel, noto anatomopatologo tedesco che sta facendo autopsie sui deceduti col coronavirus in Germania. Non ci sarebbe nemmeno una persona morta in Germania per il coronavirus: “Tutti quelli che abbiamo esaminato fino ad ora avevano avuto il cancro, malattie croniche polmonari, erano fumatori pesanti o gravemente obese, soffrivano di diabete oppure avevano una malattia cardiovascolare”, ha dichiarato Püschel in un’intervista poi pubblicata con il seguente titolo: Le autopsie dei medici tedeschi: “erano tutti gravemente malati, nessuno è morto per il covid”[13].
Insomma, zero morti in Germania, 136 deceduti in Italia (potenzialmente estendibili a 1330 persone). Se si considera che il Belpaese sarebbe stato appunto quello maggiormente colpito da questa sciagura epidemiologica di carattere internazionale, e se si considera pure che nel solo anno 2017 sono morte sempre in Italia circa 13.400 persone per polmonite (e non abbiamo visto allora bare alla televisione, né code di camion militari che le trasportassero una ad una, e nemmeno presidi medico-sanitari organizzati con tende da campo della Protezione Civile), è del tutto evidente che, così come non c’è stata alcuna emergenza sanitaria nel 2017, non ce n’è stata nessuna neanche nel 2020. Se i 136 poveri individui morti in Italia per il coronavirus dovessero giustificare la sospensione delle democrazie in tutto il mondo, saremmo fritti.
Pertanto, anche volendo essere prudenti e non pretenziosi, delle due l’una: o il governo, e per esso il suo mandante mondiale sanitario, si è sbagliato nel prendere misure assurde e trasformare in una “sorprendente epidemia” (come predisse proprio nel 2017 Antony Fauci) una normalissima influenza stagionale, ma allora attendiamo scuse ufficiali di Conte e di chi lo muove; oppure la domiciliazione coatta alla quale siamo stati sottoposti non è stata giustificata da esigenze sanitarie, ma da motivazioni politiche che non indurranno nessuno a prestare le proprie scuse: sondare la disponibilità delle persone ad accettare come normale la loro sospensione di qualsiasi forma di libertà, compresa quella di potersi spostare da casa, quella di vedersi con i propri amici e conoscenti, quella di abbracciarsi con i propri parenti, quella di baciare i propri figli e nipoti, quella di assistere i propri anziani in case di riposo o di accompagnare alla tumulazione il feretro dei propri cari estinti durante il lockdown.
Le malattie che ci stanno sterminando a milioni nel mondo non sono le influenze stagionali, ma quelle che la Medicina stessa definisce come “malattie del Progresso”. Sono il diabete mellito (422 milioni di persone ammalate nel mondo e più di 5 milioni di morti ogni anno – uno ogni 6 secondi). Sono il cancro (oltre 18 milioni di malati nel mondo con una previsione del 60% in più entro il 2040). Sono l’infarto o l’ictus (15 milioni di morti all’anno nel mondo, e cioè circa un quarto dei morti annuali complessivi sulla faccia della Terra). Sono l’ipertensione (1 miliardo e 130 milioni di persone ne sono affette in tutto il globo).
Come se non bastasse, nel mondo moderno sono anche le malattie nervose a imperversare: anoressia, bulimia, autismo, crisi d’ansia, attacchi di panico. Non riusciamo più a dormire (12 milioni di italiani dichiarano di soffrire d’insonnia); non riusciamo più a mangiare (celiachia, intolleranze alimentari, obesità sono all’ordine del giorno); non riusciamo più a respirare (allergie, forme asmatiche, malattie respiratorie ci perseguitano). Non riusciamo nemmeno più a cagare (secondo recenti rilievi statistici svolti su un campione consistente di soggetti, il 40% della popolazione mondiale soffre o ha sofferto di stipsi almeno una volta nella vita[14]).
E tutto questo senza parlare di ciò che funge da malato contorno alla vita frustrata di noi individui in cattività: dallo stordirsi con la musica al fare sesso compulsivo; dall’alzare il gomito con alcolici e superalcolici all’assumere qualsiasi tipo di sostanza stupefacente; dal perdersi nella tecno-dipendenza piuttosto che nella ludopatia. Ormai, oggi, darsi alla pazza gioia vuol dire praticamente autodistruggersi. E in effetti, così com’è stato notato, «Nella narcotizzazione degli stimoli sopiti da una vita in cattività, così come nella loro suscitata eccitazione artificiale, è scritto il dramma di una società in avanzato stato di dissoluzione che ormai rende omaggio all’horror vacui di un universo intero, non più di una sola generazione disastrata: da gioventù bruciata a umanità bruciata, si dovrebbe dire»[15].
L’incremento del consumo di farmaci e di psicofarmaci fa solo da tragico contrappunto a questo immiserimento generale, rappresentando il trait d’union tra la fine annunciata di un’umanità che corre verso il baratro e quella del Pianeta che la ospita. Pensare che i bacini idrici della Terra presentano ormai problematiche legate anche alla diffusa contaminazione da rimedi medicinali, dice tutto. E conferma anche quanto l’alienazione e la disfunzione corrano di pari passo con la distruzione della Natura.
Da quest’ultimo punto di vista, del resto, non sono solo gli umani civilizzati ad essere sterminati ogni giorno dal loro stile di vita. Anche il Pianeta è al collasso per effetto di questo stile.
Il riscaldamento globale sta uccidendo la biosfera. I mari si stanno surriscaldando, si stanno acidificando, stanno morendo con noi. Le acque dei fiumi sono sempre più inquinate e non più balneabili. L’aria è infestata da ciminiere, inceneritori, nano-polveri, scie chimiche. Le foreste pluviali vengono abbattute a ritmi impressionanti: ogni anno spariscono 10,4 milioni di ettari di foreste tropicali, delle quali 6,3 milioni sono foreste primarie. Nei fatti, ogni minuto, sotto i colpi di motoseghe, bulldozer e incendi, sparisce una superficie di foreste della grandezza di 40 campi di calcio[16].
Per contro, i suoli, consumati dall’agricoltura, sono sempre più degradati e aridi: ormai si parla apertamente di erosione, salinizzazione, desertificazione delle terre. La sovrappopolazione, poi, è arrivata a 7,75 miliardi di persone (con una pressione ecologica abnorme e insopportabile per la Terra). Allo stesso tempo, aumentano le specie in via d’estinzione, riducendosi così irrimediabilmente la biodiversità. Niles Eldredge, e cioè il più noto paleontologo americano vivente, dice che siamo di fronte alla più grande estinzione della storia della Terra: 30.000 specie cancellate ogni anno, e cioè tre all’ora.
Il problema che abbiamo non è il coronavirus, ma la civiltà.
Il terrore sanitario che abbiamo subito in queste settimane d’imprigionamento, è servito solo a distrarci: a farci credere che il nemico sia il Virus e non chi se ne serve per indurci tutti alla schiavitù. È servito e serve tutt’ora a farci credere che il problema sia la Natura, la vita naturale e libera, il sole, il mare, la terra e non l’universo artificiale e devastante in cui (soprav)viviamo, e che sta mettendo tutto ciò che è naturale da parte.
Un cartello recentemente affisso da un solerte Sindaco all’ingresso di un parco pubblico con laghetti artificiali annessi, intima: vietato prendere il sole. Siamo davvero al delirio! C’è forse un qualche motivo di ordine virale per non poter prendere il sole? L’insensatezza non ha limiti, ma, se ci si pensa bene, in questi mesi il Governo ci ha dato molteplici esempi di tale stupidità: il divieto di prendere il sole, in fondo, è lo stesso ordine assurdo che ci ha impedito per mesi di camminare nei boschi, sotto le pinete, sulle spiagge, lungo gli argini dei fiumi…
Non stiamo morendo di coronavirus, ma della stupidità insita nel concetto stesso di Progresso, di Sviluppo, di Economia, di Potere. Stiamo morendo di civiltà.
Origine del nostro stile di vita e causa del nostro malessere progressivo, la civilizzazione col suo carico di addomesticamento è la fonte dei nostri problemi. La cattività che c’impone, e la distruttività di cui essa stessa si nutre per restare in auge, sono incompatibili con la vita libera su questo Pianeta. O saremo capaci di comprendere questa evidenza, o non avremo possibilità di prendere contromisure. O saremo capaci di cominciare a guardare alle cause di ciò che ci sta dilaniando, o nulla potrà fermare la nostra corsa verso il baratro. E non sarà appunto una catena chimica o uno scarto metabolico che presiederà alla nostra fine.
Enrico Manicardi
NB) Sul tema Coronavirus si ascoltino anche le interviste rilasciate da Enrico Manicardi a diverse radio locali, e caricate su questo sito (sezione “Interviste radio e tv” – parte “Audio”).
_______________________
[1] Cfr. https://www.youtube.com/watch?v=531VeqkY2nE&feature=emb_logo
[2] Cfr. S. FREUD, Introduzione allo studio della psicanalisi (1899), Astrolabio, 1965, lezione XXIII, pag. 266.
[3] Ibidem, pag. 266.
[4] Ibidem, pag. 266.
[5] Cfr. H.M. SHELTON, Il digiuno può salvarvi la vita, (1964), Società Editrice Igiene Naturale, 1985, pag. 198.
[6] Ibidem, pag. 251.
[7] Cfr. E. MANICARDI, Guardare al cuore del problema: agire sulle cause e non sui sintomi, in: J. ZERZAN – E. MANICARDI, Nostra nemica civiltà. Frammenti di resistenza anarchica alla civilizzazione, Mimesis, Milano – Udine 2018, pag. 230.
[8] Si veda: https://www.youtube.com/watch?v=mp0D2Y39FTE
[9] B.-C. HAN, Nello sciame. Visioni del digitale (2013), Nottetempo, Roma 2015, pag. 95.
[10] Cfr. E. MANICARDI, Rete, oppio dei popoli. Internet, social media, tecno-cultura: la morsa digitale della civiltà, Mimesis, Milano – Udine 2020, pag. 250.
[11] Cfr. MINISTERO DELLA SANITÀ, Indicazioni emergenziali connesse ad epidemia COVID-19 riguardanti il settore funebre, cimiteriale e di cremazione, circolare n.0015280-02/05/2020-DGPRE-DGPRE-P, in: http://www.trovanorme.salute.gov.it/norme/renderNormsanPdf?anno=2020&codLeg=73965&parte=1%20&serie=null
[12] ISTITUTO SUPERIORE DI SANITÀ, Caratteristiche dei pazienti deceduti positivi all’infezione da SARS-CoV-2 in Italia. Dati al 4 giugno 2020, in: https://www.epicentro.iss.it/coronavirus/bollettino/Report-COVID-2019_4_giugno.pdf
[13] Si veda: https://laforzadellaverita.wordpress.com/2020/05/17/le-autopsie-dei-medici-tedeschierano-tutti-gravemente-malati-nessuno-e-morto-per-il-covid/?fbclid=IwAR3rJBWZr_3ga6hTgHBG6AXSE2gFcj5I6U59xA-aevN_lXilSqOqSBLTX54
[14] Cfr. https://it.wikipedia.org/wiki/Stitichezza
[15] Cfr. E. MANICARDI, Guardare al cuore del problema: agire sulle cause e non sui sintomi, cit., pagg. 224-225.
[16] Cfr. https://www.salviamolaforesta.org/tema/foresta-pluviale#start