Modena, 22 aprile 2020
SCIENZA: LA SUA ORIGINE, IL SUO POTERE, IL NOSTRO FUTURO.
MANIFESTO PER UNA VITA LIBERA E NON-ADDOMESTICATA
In genere, quando pensiamo alla Scienza, pensiamo a qualcosa di assoluto, universalmente valido e che spiega oggettivamente la realtà. Ci hanno insegnato così, e questo è ciò che abbiamo imparato alla perfezione: siamo stati talmente educati a considerare la Scienza come una componente stessa della vita, che siamo convinti che senza di essa non sia possibile capire nulla. Per il nostro modo civilizzato di vedere le cose, la Scienza è l’unica forma di accesso alla comprensione della realtà. Tanto è vero che, anche quando rifuggiamo dal suo dettato assolutistico, e guardiamo a soluzioni alternative per comprendere il mondo, è sempre alla scienza che facciamo riferimento: pur di non metterne in discussione i fondamenti ideologici, la qualifichiamo “olistica”, “seria”, “etica”, “responsabile”, “gaia”, persino “vera”; e la contrapponiamo a quella “ufficiale” o “mainstream”. Il ragionamento di fondo, insomma, resta il seguente: quello che dice la scienza ufficiale non è scientifico, e ciò sarebbe dimostrato dalla perfetta scientificità della vera scienza.
Nonostante il fatto che, di questi tempi, il Pensiero Unico abbia tirato enormemente la corda della nostra capacità di sopportare l’ingiustizia, e le Prove Tecniche di soggezione della popolazione abbiano indispettito non poche persone, l’assunto che muove la nostra critica verso ciò che stiamo subendo non sembra capace di andare oltre l’ideologia scientifica: a una scienza “cattiva” (quella ufficiale, quella dei rimedi fasulli) si risponde con una scienza “buona” (quella alternativa, quella dei rimedi giusti). Dando pieno valore al progetto scientifico nel suo complesso, e al portato assolutistico di questo progetto, il circolo vizioso in cui l’ideologia della Scienza ci chiude suona le campane di questa finta contrapposizione; la quale, in sostanza, riproduce il vecchio luogo comune sulla supporta neutralità della Scienza: né buona né cattiva, ma dipendente dall’utilizzo che di essa si faccia.
In questo modo, mentre tutto resta circoscritto a un ambito scientifico, specialistico, inaccessibile ai più, la critica rivolta alla deriva totalitaria imposta dal Potere Sanitario Mondiale cessa di dirigersi contro la Scienza in quanto tale per indirizzarsi semplicemente verso un suo uso spregiudicato. Ma la Scienza, in quanto Istituzione, è sempre “spregiudicata”.
Esattamente come la Tecnologia, che ne è la conseguenza pratica e il braccio destro armato, la Scienza non è neutrale: al contrario, è l’espressione di un certo modo orientato di vedere le cose; e anche quando è rivolta al bene, o è etica o responsabile, l’insieme dei modelli organizzativi da essa assunti, i suoi canoni, le sue categorie, il suo complessivo approccio alla realtà, riflettono proprio questo modo di vedere le cose, che è poi quello della mentalità civilizzata che l’ha generata.
Anche se non ce ne accorgiamo, non viviamo in un mondo naturale, ossia imparziale e privo di una particolare visione simbolica delle cose. Viviamo invece in un sistema sociale retto da una precisa mentalità, quella del dominio; la quale ci viene inculcata sin da bambini, anche se poi si sostanzia in migliaia di sfumature culturali apparentemente diverse che si connotano nel tempo e nello spazio. Voglio dire, cioè, che, diversamente dagli animali selvatici e dai popoli non-addomesticati, noi soggetti inciviliti viviamo in un mondo tutto improntato alla cultura simbolica (linguaggio, numero, arte, rito, mito, religione, denaro, potere), e la civiltà, che fonda e struttura appunto culturalmente la nostra visione delle cose, si regge proprio sull’idea del dominio, ossia sul potere della Cultura di piegare la Natura ai propri voleri. La Scienza, in quanto Istituzione, Strumento, Espressione di civiltà, non contraddice questo principio: lo riproduce, lo sviluppa, lo perpetua; e lo fa sin da quando è nata e sin nei suoi stessi presupposti programmatici.
Per rendersi conto di come la Scienza non sia neutrale ma appunto un progetto ideologico che incarna perfettamente la logica del dominio (anche quando si prefigge il bene), basta leggere cosa scrivesse tra la fine del Cinquecento e l’inizio del Seicento Francis Bacon (Bacone), uno dei padri della scienza moderna.
Per Bacon, compito della scienza è quello di indagare la Natura per conoscerla oggettivamente e sottoporla per intero al dominio umano (regnum hominis). Attraverso il metodo scientifico, secondo Bacon, la Natura può essere “imbrigliata, formata e modellata”»[1]. «La natura è una meretrice – giunse sino a scrivere –; dobbiamo sottometterla, penetrarne i segreti e incatenarla a seconda dei nostri desideri»[2]. La Natura, sosteneva ancora Bacon, «dev’essere “obbligata a servire” e resa “schiava”, costretta e torturata dalle arti meccaniche. Gli “indagatori e informatori della natura” devono scoprirne i complotti e i segreti»[3].
Quale istituzione di quell’universo culturale improntato al dominio che chiamiamo civiltà, la Scienza è dunque sempre stata una guerra: la guerra appunto della Cultura (simbolica) per dominare la Natura. E, in quanto espressione della Cultura, la Scienza genera proprio da questi auspici filosofici: li rispecchia, li esalta, li difende, li realizza. Essa, infatti, non si occupa di acquisire una conoscenza del mondo, ma di dominare il mondo, di sottometterlo al genio umano, di manipolarlo, di usarlo (proprio come si fa con un nemico in guerra).
Naturalmente, la Scienza sostiene di fare tutto questo per il bene dell’umanità, e ciò dovrebbe bastare a tranquillizzarci. In realtà, è anche attraverso un simile e dichiarato proposito che essa tradisce il fatto di non essere neutrale. La cultura simbolica, invenzione degli umani nel supposto interesse degli umani, è intrinsecamente antropocentrica, e la Scienza, in quanto espressione della Cultura, è un programma non soltanto di guerra, ma anche manifestamente antropocentrico. Si basa cioè sulla convinzione che l’umanità sia il fine dell’universo, ossia il centro dell’universo stesso, e che essa non soltanto sia superiore ad ogni altro essere vivente e al vertice di questa ipotetica scala gerarchica d’importanza, ma anche l’unica specie legittimata a sfruttare tutto il resto.
Nel corso della sua storia, la Scienza è giunta a rivendicare esplicitamente questo principio antropocentrico grazie all’impegno di un altro indiscusso padre fondatore della scienza moderna: Cartesio (René Descartes). Nel Seicento, col suo famoso assioma cogito ergo sum (penso dunque sono), Cartesio ci ha spiegato che solo l’essere umano, in quanto capace di rappresentarsi una realtà separata da se stesso (penso), è in grado di potersi fregiare dell’appellativo di soggetto (dunque sono); tutto il resto è oggetto: un oggetto di cui l’essere pensante può appunto servirsi per ottenere ciò di cui abbisogna.
Affermando solennemente l’antropocentrismo della Scienza, Cartesio ribadì non soltanto l’idea baconiana secondo cui la Natura sarebbe separata dall’individuo umano e passibile di essere sottomessa al suo potere, ma anche che essa non abbia alcun significato in sé: sarebbe semplice materia grezza priva di vita, al mero servizio dell’umanità. Per dirla con le parole di Jeremy Rifkin[4], Cartesio privò la natura della sua intrinseca «vitalità riducendo […] le creature […] a metafore matematiche e meccaniche», e giungendo fino «a descrivere gli animali come “automi senz’anima”, i cui movimenti erano molto poco diversi da quelli degli automi che danzavano nell’orologio di Strasburgo».
In effetti, com’è stato scritto, «Quella separazione Individuo/Natura che la civiltà aveva conseguito sin dal suo esordio, col pensiero scientifico moderno diventava […] consapevole e rivendicata. Con Descartes, il percorso che aveva portato l’umanità incivilita ad affermare l’ideologia del dominio umano su di un mondo completamente oggettivato era compiuto. Il “demente progetto cartesiano”, come lo ha definito Clastres, aveva stabilito chiaramente i ruoli e le gerarchie, e il mondo era ora pronto per essere scientificamente usato, sfruttato, forgiato; era pronto per essere ridotto a mercanzia, capitalizzato e messo in vendita. In una parola sola, il mondo era pronto per diventare un mondo moderno: un mondo tutto scienza e senza più coscienza»[5].
La Scienza quindi, per sua stessa costituzione, non soltanto non è neutrale ma un programma ideologico ben definito: un terribile motore della macchina civilizzata che risponde e riproduce la logica del dominio. Non soltanto non si occupa di conoscere la realtà ma di dominarla e usarla come fosse un oggetto, e in questo mostra di non avere coscienza. Ma la Scienza è anche un sistema ideologico connaturatamente totalitario, improntato cioè all’affermazione della “verità” dei suoi princìpi professati. Prima di Cartesio, e dopo Bacon, un altro alfiere della scienza moderna lo ha chiarito: Galileo Galilei.
Contemporaneo di Francis Bacon, Galilei stabilì il regno della matematizzazione della conoscenza scientifica, consegnando al metodo sperimentale baconiano (fondato solo sull’osservazione induttiva) la forza dogmatica della scienza dei numeri. Due più due fa quattro, non si discute. Secondo Galilei il “libro della natura” è scritto in lingua matematica e leggibile solo attraverso caratteri matematici[6]: dunque neanche la Scienza, che studiando la Natura per dominarla riesce a decifrarne la sua lingua matematica, può essere messa in discussione: essa è vera come lo è il fatto che due più due facce quattro. Tant’è che la Scienza è in grado persino di opporsi alla voce di Dio, e di avere ragione. Com’è risaputo, Galilei, sostenendo che fosse la Terra a girare attorno al sole, e dimostrandolo scientificamente, si pose apertamente in contrasto con l’autorità della Chiesa Cattolica che fondava la sua cosmologia sulle Sacre Scritture (e cioè sulla Parola di Dio), le quali, al contrario, sostenevano la Teoria geocentrica. Al di là dell’ignoranza delle Sacre Scritture (a chi interessasse approfondire l’argomento può leggere il libro di C. Pigault Sciocchezze e nefandezze della Sacra Bibbia – Anteo, 1988), resta il fatto che la convinzione “matematica” di Galileo non si fermò nemmeno davanti alla Parola di Dio. Naturalmente, si fermò davanti alla repressione istituzionale della Santa Inquisizione che, dopo averlo incarcerato, lo indusse ad abiurare il proprio pensiero. Ma ciò non toglie che fu proprio l’idea che le sue opinioni fossero matematicamente giuste a spingerlo fino a sfidare (pur senza volerlo direttamente) l’autorità del suo tempo. E oggi, se la Scienza può incarnare la posizione che fu della Santa Inquisizione, e coi suoi moderni de torquemada si muove alla caccia di scienziati eretici, è proprio perché essa si attribuisce la funzione di Verità: ciò che è scientifico (analizzabile in maniera metrico-quantitativa) è vero; ciò che non è scientifico (non oggettivamente misurabile) è falso.
Per tornare a Galilei, infatti, l’essenza del mondo deve essere ricondotta proprio agli aspetti metrico-quantitativi della materia, dunque solo quelli contano, perché oggettivamente misurabili. Tutto il resto non sarebbe altro che una semplice proiezione mentale soggettiva del tutto incapace di fornire una descrizione obiettiva della natura, e pertanto, come tale, irrilevante ai fini della conoscenza. Su queste premesse, lo psichiatra inglese Ronald Laing scriverà nel 1982: con Galilei, «se ne vanno la vista, il suono, il sapore, il tatto e l’odore, e assieme ad essi se ne sono andati da allora l’estetica e la sensibilità etica, i valori, la qualità, la forma; tutti i sentimenti, i motivi, le intenzioni, l’anima, la coscienza, lo spirito. L’esperienza in quanto tale è espulsa dall’ambito del discorso scientifico»[7].
Oggi scorgiamo perfettamente gli effetti disastrosi di questa epurazione meccanicistica attuata dal sapere scientifico sul vivente. «Il metodo scientifico si occupa solo dell’aspetto quantitativo. Non ammette i valori o le emozioni, o l’odore dell’aria quando comincia a piovere; oppure, se li prende in considerazione, lo fa convertendoli in numeri, trasformando la totale partecipazione con l’odore della pioggia in interesse astratto per la formula chimica dell’ozono, traducendo la sensazione che si prova in un concetto intellettuale secondo cui le emozioni sono solo un’illusione provocata da neuroni eccitati»[8].
La Scienza, che sia ufficiale o alternativa, si fonda sempre su leggi e formule, le quali sono fisse, statiche, morte; mentre la vita è dinamica, in continuo mutamento. Ma alla Scienza non interessa la vita per come è, ma per come viene osservata meccanicamente, e cioè col distacco tipico alla nozione di “osservazione”: percezione di un fenomeno distanziandosene emotivamente e fisicamente, e considerandolo come elemento estraneo all’ “io” che lo osserva.
La Scienza, insomma, che si occupi del bene universale o sia mistificata dagli interessi e dal potere, non si cura di una realtà percepita come un tutt’uno inscindibile, ma solo di una pseudo realtà separata dall’osservatore, epurata della sua parte vitale, asseverata dalla sua matematizzazione e alla fine incatenata in formule e leggi. Il che equivale a dire che la Scienza non si cura della realtà reale, ma di una certa rappresentazione idealizzata (simbolica) della realtà: una rappresentazione appunto che bandisce ogni partecipazione dei sensi, delle emozioni, dei sentimenti. Non è la realtà viva e vegeta che interessa alla Scienza, ma una realtà astratta. In effetti, se ci pensiamo bene, la Medicina non si occupa di ogni singola persona, ma della persona astratta; la Biologia conosce la natura astratta; il Diritto disciplina le controversie astratte; l’Economia si cura delle statistiche e delle percentuali. Tutto ciò che è vivo, indistinto, inclassificabile e non misurabile non interessa alla scienza.
In sintesi, la Scienza non mirando a comprendere il mondo ma a prenderlo, a possederlo, è sempre espressione di un atteggiamento arrogante ed egemonico, il quale spiega da solo il bisogno che essa ha di ridurre continuamente la Natura a un complesso di elementi da separare e governare ciascuno singolarmente: si chiama specializzazione.
Come spiegava bene il famoso motto del Senato romano divide et impera (dividi e impera), per dominare qualcuno lo si deve prima di tutto separare, dividere. Se per dominare le persone occorre separarle le une dalle altre (oltre che da loro stesse e dai loro bisogni), per dominare la conoscenza del mondo occorre scorporarne la totalità, violarne il complesso, fare breccia nel suo corpo unico. Non è forse questa la funzione specialistica della Scienza? I settori della conoscenza scientifica sono tutti separati tra loro e le parti da conoscere vengono divise e scorporate: pensiamo al corpo umano “smembrato” dalla medicina in cuore, denti, genitali, eccetera. Chi si farebbe mai visitare i genitali da un dentista? E chi i denti da un cardiologo? Il cardiologo non sa nulla di denti. Paolo Villaggio, con la sua proverbiale simpatia, ha avuto modo di deridere l’ignoranza in cui spinge la specializzazione. Ponendo il suo mitico ragionier Fantozzi alle prese con l’inarrivabile Professor Grandi, Primario di Ortopedia, ne ha riportato lo spiritoso dialogo: “Mi scusi professor Grandi, Mahatma Grandi, ma lei non sa che per una gravidanza occorrono nove mesi?” E il professore, indispettito: “Ma gliel’ho detto che sono un ortopedico!”.
La sublime ignoranza dell’esperto, ben schernita anche da George Bernard Show (“Chiunque sia un po’ specialista è, a rigor di termini, un idiota”[9]), vale per tutte le scienze: un avvocato civilista non ne sa assolutamente nulla di questioni tributarie; un ingegnere meccanico non potrebbe certo costruire un grattacielo e un militare graduato del genio civile non sarebbe mai capace di dirigere la rotta di una corazzata o di pilotare un caccia militare.
Ovviamente, la spiegazione che la Scienza fornisce per celare la profonda ignoranza dei suoi specialisti, è la seguente: se sommiamo il sapere massimo del dentista con quello del cardiologo, del gastroenterologo, eccetera, otteniamo il sapere massimo sul corpo umano. Frazionare e ricomporre. La Scienza scaturisce in effetti da questo processo di frazionamento e ricostruzione: fraziona i fenomeni della realtà in branche, li isola dalla Natura e li esamina al microscopio come se fossero tessuto morto scollegato da tutto il resto; poi, ricostruisce il sapere sulla sommatoria di quegli esiti separati. C’è solo un problema: la Natura non è come pare a noi. La Natura è viva, ossia inafferrabile, libera, refrattaria ad ogni pretesa sottomissione a categorie concettuali e simboliche. E soprattutto la Natura non è una semplice sommatoria di parti classificate. La Natura, diceva l’agro-filosofo giapponese Masanobu Fukuoka, «è un’entità organica che non può essere classificata e suddivisa. Quando viene divisa in due metà complementari, e queste a loro volta suddivise, […] la Natura perde la sua unità»[10]. Allo stesso modo in cui «i pezzi di uno specchio rotto non potranno mai essere ricomposti insieme e formare uno specchio perfetto come quello originale»[11], «anche i pezzi della conoscenza scientifica frantumati in una miriade di campi specialistici non potranno mai ricostruire un sapere organico. Quello che è stato spezzato non può più essere ricostruito con la stessa perfezione, e quello che è possibile comprendere da ogni singolo frammento separato dal contesto può essere fuorviante»[12].
Fukuoka ha usato la famosa favola dei ciechi e dell’elefante per spiegare meglio quest’ultimo concetto: uno dei ciechi si avvicina del tutto all’elefante e gli tocca la proboscide, deducendone che sia un serpente; un altro si avvicina del tutto all’elefante e gli tocca una zampa, convincendosi che sia un tronco d’albero; un terzo gli tocca la coda, e crede sia una scopetta. Non avendo una visione d’insieme, i ciechi non sono in grado di capire che quelle diverse parti che toccano sono un ELEFANTE.
L’essere umano civilizzato, fuorviato dalla Scienza (e dal suo metodo), si ritiene capace di comprendere la Natura esaminandone le sue parti smembrate, uccise e ricomposte. «Fallisce perché in Natura la somma delle parti non è mai l’intero: l’insieme non è il tutto»[13]. Fukuoka ne traeva questa conclusione: l’essere umano devoto alla Scienza «crede di essere riuscito a conoscere e capire la natura […], ma ciò che ha capito non è altro che l’elefante visto dai ciechi»[14].
La Scienza, che sia ufficiale o alternativa, lungi dall’immergerci nella realtà ce ne distanzia: non lo fa per cattiveria, per interessi o per potere; lo fa per metodo. In questo modo essa, che sia ufficiale o alternativa, ci fa capire sempre meno la realtà. Non è dunque una questione di scienza buona o cattiva, ma di Scienza. Più la Scienza, con la sua specialistica, ci allontanerà dalla realtà facendoci capire sempre meno le cose, più noi non-specialisti cadremo nelle mani degli specialisti: oggi si chiamano scienziati; ieri si chiamavano sacerdoti e preti; alle origini della civiltà si chiamavano stregoni o sciamani. Il risultato non cambia: quel tutt’uno inscindibile che vive dentro e fuori di noi, e che noi chiamiamo Natura, ci è sempre più sconosciuto, e grazie alla Scienza – che ce ne allontana progressivamente ponendoci nelle mani di chi se ne occupa per professione – restiamo in balìa del potere esercitato dagli esperti. In balìa della loro autorità e costretti soltanto a fidarci: a fidarci del medico, del biologo, del chimico, dell’ingegnere, dell’avvocato. Fidarci proprio come fa il fedele con il parroco.
Che si tratti di scienza ufficiale o alternativa, infatti, non abbiamo alcuna possibilità di interferire nel processo di conoscenza che il professionista dice di controllare alla perfezione, e così riponiamo in lui tutta la nostra fede. Eppure, siamo perfettamente convinti che la Scienza sia qualcosa di diverso dalla Religione: ci affidiamo alla Scienza con devota credenza, ma non ne cogliamo l’impronta trascendente.
Soprattutto in Occidente, che è sembrato svilupparsi proprio attraverso la progressiva liberazione da un sapere clericale imposto per secoli, la Scienza appare ancora come qualcosa di “contrapposto” alla Fede: Galilei contro il cardinale Bellarmino. In realtà, quello che è avvenuto dal Settecento in poi, grazie agli sviluppi della cosiddetta rivoluzione scientifica, è stato solo un cambio di guardia all’interno della medesima concezione civilizzata del mondo. Allo stesso modo in cui la Rivoluzione francese non ha abbattuto il Potere ma vi ha semplicemente insediato una nuova classe (quella borghese), o la Rivoluzione russa non ha liberato il popolo dall’oppressione ma ha solo cambiato i connotati dell’oppressore, anche la Scienza non ha stravolto per nulla il dettato assolutistico portato dalla Religione, imponendo solo a quest’ultima il proprio potere assolutistico (ben rappresentato oggi dalla silenziosa accettazione delle chiese giudaico-cristiane della violazione – per ragioni di dichiarata emergenza sanitaria – del rispetto del Terzo comandamento della Legge di Dio: “Ricordati di santificare le feste”).
Chi comanda oggi è la Scienza: coi suoi “inquisitori” (virali), i suoi “protettori” (civili) e i suoi “pinocchio” (seduti al governo).
D’altronde, Scienza e Religione, espressioni della cultura simbolica e figlie legittime della civiltà, hanno una profonda radice comune. La pretesa di Verità che entrambe dichiarano di possedere, trova le sue origini nel fatto che entrambe si reggono sulle medesime basi teoriche della Magia. James G. Frazer, uno dei fondatori dell’antropologia, lo ha spiegato sin dalla fine dell’Ottocento. La magia, è scritto nel suo classico Il ramo d’oro, «parte dal presupposto che, in natura, a un evento ne segua necessariamente e invariabilmente un altro […]. In questo caso, il concetto fondamentale è identico a quello della scienza moderna; alla base dell’intero sistema c’è la fede […] nell’ordine e nell’uniformità della natura. Il mago è fermamente convinto che le stesse cause produrranno sempre gli stessi effetti»[15], esattamente come ne è convinto lo scienziato (e noi tutti che crediamo alla scienza). «Esiste quindi una stretta analogia tra le concezioni magiche e le concezioni scientifiche del mondo. Entrambe presuppongono una successione perfettamente regolare e certa degli eventi, determinata da leggi immutabili, la cui azione è prevedibile e calcolabile con precisione; il capriccio, il caso, l’incidente, sono elementi estranei al corso della Natura»[16].
«La religione è la madre delle scienze», aveva scritto al riguardo Tobias Dantzing[17]. La Scienza si regge sulle stesse basi teoriche della magia, e la Magia precede temporalmente l’avvento della religione come suo antecedente necessario. Del resto, non è forse vero che la forza ideologica con la quale la Scienza si arroga oggi il potere d’imporsi come unica forma accettabile di conoscenza del mondo, sia perfettamente identica all’assolutismo col quale la Religione ha sempre imposto i propri dogmi? Parlare di Scientocrazia, dunque, significa parlare del governo dittatoriale della Scienza così come parlare di Teocrazia significa parlare del governo dittatoriale della Religione. Cambia poco, ai fini della repressione sociale scientocratica, che sia la Scienza ufficiale o quella alternativa a dirigerla; così come cambia poco, in termini di repressione sociale teocratica, discutere se sia la religione cattolica o quella islamica a condurla.
D’altra parte, la Scienza, esattamente come la Religione, NON È MAI DEMOCRATICA. Essa è l’auto-proclamazione della voce della Verità, dunque come può essere rimessa al giudizio del popolo? Come può essere considerata plurale o contrapponibile ad altra? Nel sito del C.i.c.a.p. (Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sul Paranormale) l’assunto è esplicitato da anni con coraggiosa limpidezza: «parlare di pluralismo in campo scientifico dimostra soltanto una profonda ignoranza di cosa sia la scienza. La scienza per sua natura non è democratica. Se relativamente a un certo problema esistono due posizioni antitetiche, queste non si possono considerare egualmente legittime e delegare al giudizio del pubblico la scelta tra le due. In campo scientifico solo una delle due posizioni può essere vera. […] L’idea che esistano più scienze è priva di senso. La scienza nasce proprio dalla necessità di superare le opinioni individuali e quindi esiste un’unica scienza»[18].
D’altronde non è proprio questo che noi stessi sosteniamo quando, criticando la non scientificità delle tesi della scienza ufficiale, sosteniamo l’esclusiva, vera, unica scientificità di quella alternativa?
In quanto fenomeno simil-religioso, la Scienza, ufficiale o alternativa che sia, è sempre intrinsecamente proiettata verso l’integralismo. Quando essa si dichiara fondata sul dubbio o aperta a teorie differenti, mente! È aperta e fondata sul dubbio solo nella misura in cui il suo potere non sia ancora affermato del tutto, perché, appena lo diventerà, anche la sua apparente larghezza di vedute si ridurrà proporzionalmente. Pure Lenin all’inizio parlava di libertà; esattamente come Mussolini col suo programma fascista; o come Hitler che, a capo del partito “nazional-socialista dei lavoratori” (ricordiamocelo: “dei lavoratori”!) si candidò e stravinse le elezioni politiche democratiche del 1933. Più il Potere della Scienza sarà forte perché riconosciuto da tutti, più esso diventerà intollerante, arrogante, dispotico come quello che fu di Lenin, di Mussolini, di Hitler o della Chiesa Cattolica.
Ecco perché occorre rafforzare la nostra consapevolezza circa il fatto che la Scienza non sia neutrale, così da evitare di legittimare questa o quell’altra teoria scientifica, e cadere nel tranello di credere che esista una scienza buona e una scienza cattiva.
Il problema che abbiamo, dunque, non è questa o quella scienza: è la Scienza; così come il problema che abbiamo non è questa o quella tecnologia (la tecnologia black contro quella a basso impatto ambientale), ma la Tecnologia.
Vale lo stesso per la Politica. Abbiamo visto come i propositi di moralizzazione della casta governativa inizialmente avanzati dal Movimento 5 Stelle siano stati poi del tutto sepolti dall’ascesa al potere di quella formazione politica. Proprio loro, che rimproveravano al Partito Democratico di ricorrere in maniera abusiva alla decretazione governativa d’urgenza, hanno finito col ricorrere a quella stessa decretazione per sospendere addirittura delle libertà costituzionali (i famosi DPCM del Premier Conte, poi sbrigativamente ratificati e sanati con Decreto Legge n.19/2020). Una virata nel totalitarismo che non ha precedenti nella storia della Repubblica italiana. E tutto ciò, guardate bene, non per chissà quale inclinazione “cattiva” dei grillini, ma perché la Politica, esattamente come la Tecnologia o come la Scienza, NON È NEUTRALE; e il problema della Politica (come per la Scienza e per la Tecnologia) non è nelle persone che la praticano istituzionalmente, ma nella Politica in sé: «è nei ricatti su cui essa si regge, nella logica dello scambio in cui si muove e nella pratica della convenienza, dell’utilità, dell’interesse egoistico che la guida e che dirige ogni caso; è nelle dinamiche di potere che la intrecciano e la conducono, e che sono tutte immodificabili dall’individuo singolo. […] il politico che si sieda sugli scranni della Politica deve far funzionare il Sistema […]; eletto per consentire al motore del Sistema di restare acceso e andare al meglio, egli opererà per tenere il motore acceso e farlo andare al meglio»[19]. Potrà farlo bene o male, non c’è dubbio; ma non potrà sottrarsene. «È per questo che chiunque decida di entrare nel “meccanismo” perverso della Politica, fosse anche il più [integerrimo o il più] sovversivo tra gli umani al mondo, finirà sempre e soltanto col fare tutto quel che ci sarà da fare per restare in quella posizione»[20].
Allo stesso modo in cui il problema del Potere non è dunque nel suo colore, anche il problema della Scienza non è nell’aggettivo con la quale la si voglia accompagnare: e che, in genere, la rende soltanto un ossimoro (scienza olistica; scienza responsabile; scienza gaia; scienza buona).
Quella Scienza, che Francesco Benozzo, filologo dell’Università di Bologna e candidato al premio Nobel per la Letteratura nel 2015, ha recentemente definito come una «nuova religione del mondo contemporaneo: una religione monoteista, antidialogica, totalitarista e oscurantista»[21], è insomma un pericolo per tutti. Il suo governo, la Scientocrazia, è un pericolo per tutti.
Quelle Prove Tecniche di soggezione della popolazione mondiale che in queste settimane ci hanno ristretto tutti agli arresti domiciliari (facendoci venire persino la paura dell’aria che respiriamo), e che lo stesso professor Benozzo ha definito “prove generali di soggiogamento delle popolazioni, fondate su una visione scientocentrica della realtà”[22], NON HANNO ALCUNO SCOPO PROFILATTICO, ma solo politico: servono cioè a farci accettare come normale la sospensione delle nostre più inviolabili libertà.
Di sanitario non c’è assolutamente nulla nella pretesa antigienica di tenere tutti rinchiusi in casa a soffrire come dei detenuti. I virus non attaccano nessuno e la Scienza, con la sua pretesa di spiegare in maniera assoluta fenomeni dinamici attraverso concetti statici, è semplicemente ridicola. La vita non è un libro, e nemmeno una formula fissa logico-razionale o un insieme di numeri. Siamo molto di più delle nostre facoltà mentali. E le nostre facoltà mentali sono risibili se confrontate alla complessità della Natura. L’idea di poter fare meglio della Natura (grazie alla Scienza, alla Medicina, alla Tecnologia, all’Economia, alla Politica, eccetera) è una manifestazione di megalomania, un delirio di onnipotenza che la Scienza stessa ci procura perché è un’Istituzione di Potere; la quale, in quanto Istituzione di Potere, non ammette alcuna dissidenza né altri modi di vedere le cose. Per di più, essa ci condiziona anche a credere che le sue teorie non siano teorie (e cioè opinioni discutibili), ma Verità.
Di questa fragilità arrogante della Scienza sono perfettamente al corrente anche i suoi attuali sacerdoti, che infatti hanno cominciato a usare tutte le armi a loro disposizione per evitare il propagarsi delle migliaia di voci di dissenso. Tramite l’AGCOM (Autorità per le garanzie nelle comunicazioni), ingiungono ai fornitori di piattaforme di condivisione di video di adottare «ogni più idonea misura volta a contrastare la diffusione in rete, e in particolare sui social media, di informazioni relative al coronavirus non corrette o comunque diffuse da fonti non scientificamente accreditate. Le predette misure devono prevedere anche sistemi efficaci di individuazione e segnalazione degli illeciti e dei loro responsabili»[23]. Bannano tutti i video pubblicati sui social che siano reputati sconvenienti e che mettano in discussione la Parola del governo. Denunciano all’autorità giudiziaria qualsiasi celebrità o personalità autorevole che si azzardi a mettere in discussione l’idea del contagio. Come se non bastasse, attraverso gli ordini professionali inducono al silenzio gli specialisti che critichino le verità ufficiali o vi si oppongano. Con la direttiva diramata l’11 marzo scorso dal FNOMCeO[24] (Federazione Nazionale dell’Ordine dei Medici e degli Odontoiatri), sono stati ad esempio ridotti al silenzio mediatico tutti gli iscritti che si mostrino in disaccordo coi dogmi ufficiali della Medicina e che non siano stati espressamente autorizzati a parlare, pena la notifica di procedimenti disciplinari a loro carico (come in effetti hanno già cominciato a fare): anche queste sono misure sanitarie? Siamo passati dalla mascherina per tutti al bavaglio ai medici: è forse per difenderci dal coronavirus?
Anche l’URCOFER (Unione Regionale dei Consigli degli Ordini Forensi dell’Emilia-Romagna), in una nota del 31 marzo 2020 diramata agli iscritti, nel deprecare giustamente il cosiddetto sciacallaggio di sedicenti avvocati disposti a dare assistenza legale senza titolo (o che approfittano della situazione per realizzare sciagurate manovre di accaparramento della clientela), ha però lanciato una condanna troppo equivoca quando ha scritto: “Altrettanto è a dirsi riguardo ai suggerimenti offerti, anche da avvocati, circa possibili “rimedi” giudiziari alle violazioni delle disposizioni normative imposte dall’emergenza sull’ingiustificata circolazione dei cittadini”[25]. Cosa significa questa storia? Che non è più possibile offrire assistenza legale a tutti quei cittadini vessati dagli abusi di Forze dell’Ordine trasformate in Sceriffi le quali, interpretando la legge col loro personale sentire alla John Wayne, strattonano con violenza coppie di cittadini scesi di casa per gettare i rifiuti[26], sanzionano persone che si muovono in prossimità delle loro case[27], o che vanno a fare la spesa in tuta e scarpe da ginnastica[28], o che vanno a comprare viveri in coppia[29], o che scendono di casa per prendere il giornale[30]? Dobbiamo forse pensare che, al tempo del coronavirus, non soltanto è stata sospesa la generale funzione giurisdizionale dello Stato (art. 24, comma 1, Cost.), ma anche lo specifico e inviolabile diritto di difesa (art. 24, comma 2, Cost.)? E allora: anche la sospensione del diritto di opporsi agli abusi dello Stato sceriffo sarebbe una misura sanitaria adottata dal governo per impedirci di “prendere” il coronavirus?
Svegliamoci!!! Riprendiamoci dal torpore di una vita incivilita, viziata, resa l’ombra di se stessa! Smettiamo di comportarci da gregge, da impauriti servitori del Sistema, da morti viventi o – come ha detto ancora il professor Benozzo – da “lobotomizzati che inneggiano alla patria” dai loro balconi[31].
“Chi dorme in democrazia, si sveglia in dittatura”, dice sempre il professor Ugo Mattei, giurista e accademico dell’Università di Torino[32]. Continuare a dormire anche in dittatura non può che peggiorare ulteriormente le cose, aggiungo io.
La mistificazione dei dati sulla supposta contagiosità del coronavirus è alla portata di tutti: basta smettere di nutrirsi di quella propaganda televisiva che il dott. Massimo Pietrangeli, allergologo e pediatra, ha definito “la comunicazione fasulla e becera della RAI e di Mediaset”[33], e cominciare a leggere direttamente i numeri pubblicati dall’ISTITUTO SUPERIORE DI SANITÀ e dalla Protezione Civile, così da farsi un’idea con la propria testa. Man mano che passano le giornate in restrizione coatta domiciliare, sono proprio questi dati che ci dicono, in maniera sempre più evidente, che NON ESISTE ALCUN CONTAGIO IN ATTO, e che il contatto tra le persone NON È IN ALCUN MODO LA CAUSA del diffondersi del coronavirus.
Sono ormai passati ben 44 giorni da quando il governo ci ha rinchiusi tutti in casa garantendoci che questa misura dittatoriale avrebbe arginato presto il presunto contagio: 44 giorni, ossia più di 6 settimane, un mese e mezzo! Eppure, il numero dei positivi al COVID-19 continua a crescere vertiginosamente ogni giorno. Il 9 marzo scorso (data dei provvedimenti del governo) in Italia c’erano circa 8.000 persone positive al COVID-19 (circa 1.500 in più del giorno prima); oggi, 22 aprile 2020, sono più di 185.000 (187.327)[34] e il tasso di crescita giornaliero dei nuovi positivi non è più di circa 1.500 soggetti al giorno, ma di circa 3.000 ogni giorno nuovo: oggi 3.370 in più[35].
Se fosse vero che la causa di diffusione del coronavirus risiedesse nel contatto tra le persone, una volta eliminato quasi del tutto questo contatto, anche la relativa diffusione ne sarebbe risultata ridotta al minimo. Invece, in Italia, in Francia e in Spagna, che sono i paesi europei in cui la sospensione delle libertà costituzionali è stata più dura, i positivi al COVID-19 aumentano a dismisura ogni giorno, laddove invece ciò non accade in Olanda, in Germania, in Svizzera o in Inghilterra dove le misure coercitive della libertà sono meno pressanti. E non accade nemmeno in Svezia, dove il governo ha addirittura deciso di non imporre restrizioni alle persone, lasciando aperti negozi, bar, locali notturni, scuole primarie e ogni altra comune occasione d’incontro personale[36]. Perché??? Forse perché quelle persone non vivono nel luogo più inquinato d’Europa? Forse perché le popolazioni di quei paesi non sono state sottoposte a una campagna invernale di vaccinazione a tappeto, com’è accaduto invece alla popolazione anziana di Bergamo e Brescia, con ben 185.000 vaccinazioni anti-influenzali e 35.000 vaccinazioni di meningococco? Forse perché quelle popolazioni d’Europa non hanno già visto minato il loro sistema immunitario anche dalle prove di funzionamento del 5G, con il relativo elettrosmog ulteriormente accresciuto (com’è stato fatto invece sin dal dicembre 2019 in Lombardia, con Brescia, Milano e Monza – guarda un po’ – a far da apripista[37])?
Se fosse il contatto tra le persone a diffondere il coronavirus, perché nei venti giorni successivi al primo caso di morte in Italia (21 febbraio), quando ancora tutti potevano muoversi dappertutto e darsi la mano, toccarsi, abbracciarsi, baciarsi e fare l’amore, ci sono stati solo 8.000 positivi al COVID-19 e poi, nei 44 giorni successivi di sospensione dei contatti tra le persone, i casi sono diventati 187.327, con un aumento costante di circa 3.000 individui al giorno?
Se fosse il contatto tra le persone a diffondere il coronavirus, perché i grossi esodi di popolazione spostatasi dalla Pianura Padana al sud nei giorni degli adottati provvedimenti dittatoriali, non hanno esteso anche al meridione il contagio da coronavirus, visto che il numero dei positivi continua a crescere in Pianura Padana e a rimanere irrilevante in tutto il resto d’Italia?
Se fosse il contatto tra le persone a diffondere il coronavirus, perché la disastrosa condizione di superaffollamento delle carceri italiane non sta provocando alcuna catastrofe sanitaria in quei luoghi abbruttenti? Forse al coronavirus, oltre alla residenza, all’età e alla presenza di gravi e pregresse malattie, sono anche più simpatici i carcerati dei cittadini “a piede libero”?
La balla del contagio che gli organi di propaganda del Potere Sanitario Mondiale stanno continuando a diffondere su tutti i loro canali ben protetti dalla controinformazione, si sta trasformando da mera bugia funzionale alla paurificazione generale, in buffonata dai toni sempre più grotteschi e assurdi.
Eppure, la maggioranza della popolazione continua ancora a credere alla voce del governo; il quale, per parte sua, assicura che, se non ci fossero state queste restrizioni della libertà, chissà in quale disastro epidemiologico ci troveremmo oggi, e che l’aumento di 3.000 persone positive al COVID-19 ogni giorno sarebbe stato sicuramente maggiore. Terrorizzare! Terrorizzare! Terrorizzare tutti il più possibile!
Una simile argomentazione, infatti, è semplicemente illogica: ossia capace di fare presa solo su una sensibilità preda del caos emotivo e martirizzata dal terrore verso un imponderabile suscitato ad hoc. Se potessimo per un momento fare appello a quel famoso buon senso che ci stanno progressivamente togliendo di dosso, tutti saremmo immediatamente in grado di accorgerci della sua irragionevolezza. Chi di noi, infatti, per riprendere la metafora dell’acqua e del rubinetto, di fronte alla fuoriuscita di acqua da un tubo che inondasse casa, una volta affrettatosi a chiudere il rubinetto, e constatato che l’acqua invece di diminuire sgorgasse a fiotti 2/3/4 volte superiori a prima, si tranquillizzerebbe mettendosi in pace a pensare a chissà quanta acqua sarebbe uscita in più se quel rubinetto (inutile) non fosse stato chiuso? Nessuno!!! Tutti, vedendo aumentare il defluire dell’acqua successiva alla chiusura del rubinetto, avrebbero giudicato quel rubinetto chiuso come sbagliato, e si sarebbero affrettati a cercare il rubinetto giusto per chiuderlo subito ed evitare l’inondazione generale.
Se è vero che è il contatto tra le persone a provocare la diffusione del virus, togliendo quasi tutti i contatti, la diffusione dovrebbe diminuire. E cioè dovrebbero esserci sempre meno persone che ogni giorno si ammalano. Se invece le persone che si ammalano continuano ad aumentare ogni giorno, vuol dire che, ogni giorno, pur avendo eliminato i contatti tra gli umani, ci sono ancora migliaia di individui che si sentono male, vanno al pronto soccorso ove gli fanno il tampone e risultano positivi. Se la ragione dell’insorgere di quel malanno fosse il contatto tra la gente, questo non sarebbe possibile in quella misura; mentre invece, se la ragione fosse nelle precarie condizioni di salute di quelle nuove persone positive, tutto assumerebbe un senso compiuto.
Infatti, guardando ai dati riportati oggi dal Dipartimento delle Protezione Civile, e volendo attribuire al tampone COVID-19 tutta quella attendibilità che pur esso non ha, la percentuale dei positivi resta circostanziata alla Pianura Padana (70,47%)[38]: si tratta cioè di persone anziane (età mediana 62 anni[39]) che continuano a respirare l’aria infestata da inceneritori, fumi industriali, nano-polveri ed elettrosmog che circola in quella zona: un’aria irrespirabile che i fuggiti verso il sud non inalano più, e che è invece rimasta a deliziare i polmoni dei padani anche dopo i provvedimenti di sospensione dei contatti umani (anzi, che è ancora più irrespirabile se si usano le mascherine). Inoltre, gli abitanti rimasti a vivere al nord, sono persone anziane in gran parte sottoposte a pratiche vaccinali nello scorso inverno: e cioè persone che hanno minato il loro sistema immunitario inoculandovi dei metalli pesanti (come il mercurio), dell’alluminio, della formaldeide (che è vietata dal 2004 in Medicina, ma che si trova nei vaccini), e che pertanto si ritrovano organicamente indebolite anche in assenza di contatti umani.
Stesso discorso vale per le persone purtroppo decedute. Stando all’ultimo Report dell’ISTITUTO SUPERIORE DI SANITÀ del 20 aprile scorso[40], si tratta di persone anch’esse prevalentemente concentrate nella Pianura Padana (83,2%), che presentano un’età media salita a 79 anni e 3,3 patologie gravi e croniche pregresse. Di queste persone morte, peraltro, si sta già cominciando a sapere che in parte sarebbero state addirittura uccise proprio dalle cure sanitarie: da una inopportuna intubazione, per esempio; dall’assunzione impropria di antivirali; dall’esecuzione di protocolli terapeutici aggressivi e sperimentali, forse. Interessante, al riguardo, è il caso denunciato dal dott. Fabio Franchi, epidemiologo e infettivologo italiano. Una signora di 85 anni, dopo essersi sentita male con febbre e mal di gola si è recata al pronto soccorso locale e, sottoposta al tampone, è risultata positiva al COVID-19. Immediatamente ricoverata in ospedale, è stata messa sotto terapia. La figlia, chiamata dal medico ospedaliero e giunta in visita della madre, è stata avvertita della situazione: “la mamma è molto grave – le è stato riferito –, non c’è più nulla da fare: possiamo solo accompagnarla alla morte risparmiandole ogni sofferenza”. A quel punto, la figlia, telefonando al medico di famiglia della madre per comunicare la situazione disperata, ne ha ottenuto il saggio consiglio di riportare a casa la signora per farla morire tra i familiari e non nell’isolamento della clinica. Seguito il consiglio, la vecchietta è stata riportata a casa: la settimana successiva era guarita[41].
Per descrivere in modo esemplificativo questa cosiddetta pandemia da coronavirus, il dott. Stefano Scoglio, candidato al Premio Nobel per la Medicina nel 2018, l’ha chiamata: “un raffreddore trasformato nella peste del secolo”[42]. Il professor John P.A. Ioannidis, epidemiologo di fama mondiale ed esperto di data science biomedica alla Stanford University, valutando anche l’estrema nocività della guerra terapeutica che la Medicina vi ha contrapposto, ha invece richiamato una metafora: “siamo come un elefante che si spaventa per un gattino che cerca di graffiarlo e, per evitare il gatto, cade inavvertitamente giù da un burrone e muore”[43].
La Scienza, che sia ufficiale o alternativa, sbaglia; e può provocare danni irrimediabili, anche alla salute delle persone. La Medicina, che è una scienza, allo stesso modo sbaglia e uccide! Solo che non lo ammetterà mai, tanto meno ora che il suo potere risulta rafforzato dal servile quietismo delle popolazioni soggiogate. Invece di ribellarci all’oppressione, stiamo accettando tutto quello che ci viene imposto con una capacità di sopportazione apparentemente infinita, e comunque disumana. Ci stiamo trasformando progressivamente in morti viventi o, come dice una mia amica bolognese molto sensibile allo stato in declino della capacità reattiva della gente: ci stiamo tramutando in “un popolo inetto e succube che ha un solo scopo nella vita: non sentir più nulla e accontentarsi di un’esistenza superficiale e automatica”.
La Grande Macchina che dirige la nostra vita, che determina la nostra vita e che consuma quotidianamente la nostra vitalità al prezzo dell’inazione che noi stessi reclamiamo (la chiamiamo comodità), ci sta trasformando tutti in macchine: freddi, insensibili, operativi, subordinati come le macchine. Le macchine in effetti non pensano, non sentono, non godono, non protestano; le macchine eseguono!
Esecutori disumanizzati degli ordini del Potere Sanitario Mondiale, siamo sempre più ridotti al ruolo di cavie da laboratorio scientifico e politico. In soli diecimila anni di civiltà, siamo passati dalla posizione di presunti dominatori dell’Universo a quella di dominati: dominati da quello stesso processo di civilizzazione che ci ha tolto dalle braccia materne della Natura per sottometterci al giogo brutale della Cultura. E non sarà una “nuova” scienza, dunque, a ricongiungerci con quel vivente che è proprio la Scienza a smembrare, disunire, spezzare, separare.
Per quel che mi riguarda, l’aggettivo “scientifico”, in quanto espressione culturale di questa intima dissociazione da Madre Terra, lungi dal potersi considerare qualificativo di qualcosa, non qualifica assolutamente nulla; anzi, lo scredita. Così come il socialismo “scientifico” non nobilitava il socialismo rendendolo migliore (e la storia lo ha drammaticamente dimostrato), allo stesso modo questo aggettivo non eleva né rende migliore nulla. Esso, all’opposto, infama tutto ciò che tocca, così come lo denigra l’aggettivo “tecnologico” o l’aggettivo “economico”. Dire che un certo fenomeno è scientifico, vuol dire che esso è oggetto di manipolazione, di estraniamento, di soggezione. Ciò che qualifica positivamente un certo fenomeno o una determinata relazione non è il suo essere “scientifico”, ma il suo essere “naturale”. Naturale è l’esatto opposto di scientifico, e tutto ciò che tende a scientizzare la Natura, in realtà la imbriglia, la riduce, la svuota di vita e la opprime. Se non saremo in grado di uscire dal paradigma del dominio imposto dalla civiltà, non potremo mai aspirare a una vita libera e selvatica, ma solo a un’esistenza addomesticata, e cioè mistificata, plasmata dal potere di turno e segnata dall’oppressione di ogni impulso vitale: si chiami esso Libertà, Amore o più genericamente Gioia di Vivere.
Dobbiamo liberarci dalla civiltà, non riabilitarne le categorie! Dobbiamo liberarci dal complesso dei burqa culturali che la civiltà ci ha messo addosso nei suoi diecimila anni di sviluppo, non preservarne qualcuno per poi consolidarlo e perpetuarlo contro la nostra vita. Quel che occorre cominciare a fare è tendere al naturale, non allo “scientifico” (ossia all’innaturale manipolato dalla Cultura); e la domanda che dovremmo iniziare a porci, anche e soprattutto oggi di fronte all’invasione totalitaria della Scienza e del suo governo distopico, non è come fare a scientizzare la Natura o a naturizzare la Scienza, ma se sia possibile una conoscenza del mondo non-ideologica, e cioè sottratta all’imperativo di sovrastrutture simboliche che la fanno credere libera mentre invece la reificano, la isolano dall’ “io” che la indaga (oltre che dal resto del vivente), la ingabbiano in formule fisse e ce la restituiscono addomesticata e bella impacchettata, pronta al consumo di tutti.
In effetti, un modo non-ideologico di conoscere la realtà esiste: è un modo basato sulla unione con la Natura, non sulla sua separazione; basato sulla esperienza diretta, non sulla memorizzazione di concetti astratti; basato sulla relazione sensibile con tutto ciò che vive, non ispirato all’isolamento e alla sterilizzazione del vivente. È un modo che coglie le differenze e le unicità della Natura e dei suoi fenomeni, non che mira all’omologazione e all’uniformità. Ed è il modo che abbiamo sempre praticato nei milioni di anni di vita umana con la Terra, prima dell’avvento della civiltà, e che ancora oggi praticano tutte le popolazioni primitive di raccoglitori-cacciatori esistenti. Sul tema esiste un’amplissima letteratura antropologica, etnologica e persino filosofica che ha cercato di riportarcelo all’attenzione.
Quando Laurens Van der Post, giornalista, scrittore ed esploratore sudafricano, si trovò ad esempio a vivere coi raccoglitori-cacciatori boscimani !Kung San, nel deserto africano del Kalahari, durante gli anni Cinquanta del Novecento, poté constatare di persona la pienezza di un sistema di relazioni sensibili con l’esistente. «Attualmente – scrisse ne Il mondo perduto del Kalahari – il sapere tende ad essere statistico e astratto. Classifichiamo, cataloghiamo e suddividiamo l’immensa varietà, mutevole come una fiamma, degli animali e delle piante a seconda delle specie, delle sottospecie, delle proprietà fisiche e degli impieghi. Ma nelle conoscenze del Boscimane […] esisteva una dimensione della quale io sento la mancanza nella vita del mio tempo. Egli conosceva queste cose nel contesto e nel pieno impegno della sua esistenza»[44].
Come ha spiegato Ernst Cassirer, nella mentalità dei primitivi «La vita non viene divisa in classi o sottoclassi; viene invece sentita come un’interezza e una continuità che non ammette separazioni nette»[45]. Di più: coloro che vivono di raccolta e caccia, ha documentato l’antropologo britannico Tim Ingold, «non intendono l’ambiente non umano come un mondo di cose alieno da sé, e opposto al mondo delle persone. Al contrario, essi considerano il mondo intero in cui vivono come impregnato di poteri personali, di intenzionalità e di sentimenti»[46]. Pertanto, «la separazione netta che il pensiero e la scienza dell’Occidente tracciano tra i mondi della società e della natura, delle persone e delle cose, non esiste per i cacciatori-raccoglitori. Per loro non ci sono due mondi ma uno, che comprende tutti i molteplici esseri che lo abitano. Lungi dal cercare di controllare la natura, il loro intento è di mantenere relazioni corrette con questi esseri»[47]. Risultato? Ciò che i primitivi conoscono alla perfezione è proprio il loro mondo reale, non la Scienza con le sue ignoranti teorie astratte e riportate sui libri. «Potevano stabilire con grande rapidità quanto tempo era passato da quando un’antilope, un leone, un leopardo, un uccello, un rettile o un insetto avevano firmato la loro scheda di entrata sulla sabbia – ha ricordato ancora Van der Post –. Non esistevano due impronte […] che fossero uguali per loro, in quanto tutte le tracce, come le impronte digitali per un segugio di Scotland Yard, si differenziavano ed erano individuali. Sceglievano un’orma tra cinquanta e ne deducevano con esattezza le dimensioni, il sesso, la struttura e l’umore della grande antilope che l’aveva appena impressa»[48]. Inoltre, «Erano sempre orientati […]. Una volta, per esempio, mentre ci trovavamo ad oltre duecentoquaranta chilometri dai pozzi, avevo domandato dove fossero e loro si erano voltati all’istante additandone la direzione. Io mi ero dato la pena di segnare la direzione con la bussola e controllai se quanto asserivano rispondesse al vero. Il braccio puntato di Nxou avrebbe potuto essere l’ago magnetico dello strumento, tanto l’indicazione era esatta»[49]. Proprio come gli Hadza: questi raccoglitori-cacciatori, ha notato Michael Finkel, reporter del National Geografic che nel 2009 ha vissuto qualche tempo con loro, cacciano spesso di notte e «orientarsi pare impossibile; non esistono piste e i punti di riferimento scarseggiano. Per girare nella savana buia senza una torcia ci vuole quella dimestichezza che si ha, mettiamo, nella propria camera da letto. Solo che questa “camera da letto” è vasta 2.500 chilometri quadrati»[50].
Un giorno, il già citato Van der Post chiese ai suoi amici boscimani: «Ma come fate a sapere in quale zona vi trovate? […] [Qui nel deserto ci sono] migliaia di chilometri quadrati tutti identici di sabbie, dune e boscaglia»[51]. I nativi risero divertiti a questa domanda, credendo che l’esploratore li stesse prendendo in giro; quando compresero che il loro amico bianco non stava scherzando, e poneva loro seriamente quell’interrogativo, ne rimasero sbalorditi: «[Davvero non sai] che non esistono alberi, tratti di sabbie e di boscaglia uguali agli altri? Essi conoscevano la frontiera albero per albero e filo d’erba per filo d’erba»[52].
Noi conosciamo la fusione nucleare, la teoria della relatività, la formula chimica dell’azoto e non sappiamo più riconoscere una pianta commestibile da una che non lo è, o una pozza di acqua potabile da una inquinata.
Non abbiamo bisogno della Scienza per vivere; anzi. Abbiamo bisogno di coscienza: ossia della consapevolezza che la Scienza (ufficiale o alternativa che sia) è sempre un problema. E abbiamo anche bisogno di rispetto, di relazione egualitaria tra le persone e con tutto quel che esiste (e che chiamiamo Natura). Solo la nostra capacità di mettere in discussione l’ignobile sistema di sovrastrutture ideologiche che ci nasconde la Natura e la soggioga alla Cultura ci potrà rimettere nel percorso inteso a tornare a diventare parte di quel Vivente dal quale ci siamo separati diecimila anni fa.
Un modo non-ideologico di conoscere la realtà esiste, e noi possiamo provare a riempircene di nuovo il cuore; ma dobbiamo appunto cambiare radicalmente il nostro modo di vedere le cose, la nostra mentalità: smettere appunto di credere alla Scienza, e provare pian piano di nuovo a immergerci in Madre Terra, così da tornare a comprenderne gli infiniti messaggi e gli amorevoli suggerimenti.
Quando, nel dicembre 2004, un enorme tsunami si abbatté sulle coste dei paesi rivolti all’Oceano Indiano, provocando 250.000 morti tra gli abitanti della Thailandia, dell’India, dello Sri Lanka, dell’Indonesia, della Repubblica delle Maldive, nessuno dei raccoglitori-cacciatori viventi nelle isole più selvagge dell’Arcipelago delle Andamane (in pieno Oceano Indiano) rimase anche solo ferito. Eppure, anche la parte civilizzata di quelle isole era risultata decimata dopo l’arrivo dell’onda anomala (9.571 morti e 5.801 dispersi[53]). Perché? Come ha spiegato bene Francesca Casella della sede italiana di Survival International, a mettere in salvo gli Andamanesi era stata «la loro sofisticata e intima conoscenza dell’oceano e dei suoi movimenti, accumulata in millenni di vita sulle isole e tramandata da generazioni. Sappiamo per esempio che gli Onge sono fuggiti sopra delle alture non appena hanno visto le acque del mare ritirarsi, perché consapevoli del pericolo di inondazione. Pare che a mettere alcuni gruppi in allarme siano stati anche il vento, il volo degli uccelli e i movimenti degli animali»[54]. Inoltre nella parte selvaggia della Isole Andamane, le coste erano e sono ancora tutt’oggi rigogliose di mangrovie, e cioè quelle piante che vivono nella sabbia e hanno contribuito a fare da barriera contro l’onda. Le mangrovie un tempo riempivano anche le coste dell’India e della Thailandia, prima che la civilizzazione le disboscasse tutte per costruirvi alloggi turistici e villaggi vacanze: e sono dunque stati quegli alloggi e quei villaggi ad essere stati travolti dall’onda.
Il geologo Mario Tozzi, celebre conduttore televisivo (Gaia – Il pianeta che vive, RaiTre; La Gaia Scienza, La7), ha scritto nel suo libro Catastrofi: in occasione dello tsunami del 2004 «nessun “selvaggio” si è fortunatamente estinto. Perché? Si tratta di tribù che vivono a contatto molto stretto con la natura […], non praticano l’agricoltura e conducono un’esistenza molto simile a quella nei nostri antenati diecimila anni fa. Non dispongono di tecnologie […] hanno agito semplicemente secondo natura, tenendo conto della memoria della Terra più di quanto non abbiano saputo fare gli esperti e commentatori […]. Molti degli indigeni che si trovavano sulle spiagge sono scappati immediatamente nella boscaglia non appena hanno capito che quella marea era fuori fase rispetto al ritmo tidale consueto. […] Non sarà che i “primitivi” hanno ragione e qualcun altro sbaglia qualcosa […]?»[55].
Questa domanda di Mario Tozzi risulta assai pertinente: mentre questi primitivi hanno semplicemente colto i segnali premonitori che la natura manifesta sempre prima di un cataclisma, e si sono salvati, gli individui civilizzati non hanno saputo farlo. Eppure, questi ultimi disponevano delle più sofisticate tecnologie esistenti al mondo e di un sistema di telecomunicazioni mondiale e istantaneo: un mirabolante mega-computer realizzato esclusivamente per la prevenzione nazionale dalle catastrofi, di creazione americana, era stanziato sull’isola di Hawaii. In occasione dello tsunami, il cervellone registrò il fenomeno sismico, ma senza comprenderne la portata e diramando al mondo intero l’assenza di pericolo.
Quando la vita degli umani dipende dalle macchine, e queste sbagliano (perché anche le macchine sbagliano o si rompono o si deteriorano), è il dramma a conseguirne: sempre! Mentre invece chi ha preservato la propria capacità di vivere con la Terra e non sulla Terra, non ha nulla da temere dalla Vita né dalla Terra.
Anche nelle Isole Nicobare, a sud dell’Arcipelago delle Andamane, i 380 nativi della comunità Shompèn, che vivono di raccolta e di caccia in una zona appartata dell’isola Grande Nicobar, sono rimasti del tutto illesi in occasione dello tsunami del 2004, mentre gli altri Nicobaresi, che «non sono cacciatori-raccoglitori bensì piccoli coltivatori […] in gran parte convertiti al cristianesimo […], sono stati travolti dalle acque e i morti sono stati numerosi»[56]. L’essere diventati sordi agli avvertimenti del proprio ambiente li ha resi incapaci di comprendere cosa stesse accadendo e, anche per loro, la tragedia è stata inevitabile.
La civiltà, anche attraverso la Scienza e la Tecnologia, ci rende sordi, ciechi, insensibili e totalmente ignoranti al cospetto di Madre Terra; e, in questa condizione di disabilità, è sempre la tragedia che incombe; salvo poi, nella nostra supponenza dataci dall’auto-proclamazione della civiltà a stile di vita superiore, raccontarci che è la Natura ad essere maligna e non la nostra stupidità scientifica, medica o tecnologica. Di fronte allo tsunami, neanche i dottori omeopati, antroposofi, naturopati o igienisti avrebbero saputo fare meglio degli abitanti civilizzati delle Andamane e delle Nicobare. Gli Esseri Umani invece sì.
Dobbiamo tornare a diventare Esseri Umani, non specialisti alternativi.
Certo, il percorso che ci può condurre verso un recupero delle nostre originarie capacità di vivere autonomamente nel nostro ambiente naturale non è un percorso che si possa fare dall’oggi al domani. Ma occorre cominciare a intraprendere questo percorso: cominciare ad andare nella direzione giusta e non correre in quella sbagliata facendolo in modo alternativo. Se non cominceremo sin da subito a cambiare direzione, prendendo quella opposta a quella seguita dalla civiltà, e che ci sta dirigendo verso il precipizio, continueremo a correre verso il precipizio; e non servirà a nulla rassicurarci raccontandoci che lo staremo facendo a velocità ridotta, con un protocollo omeopatico o con un’automobile a energia solare.
Occorre mobilitarsi per riabilitarsi. Occorre cominciare a camminare pian piano nella nuova direzione. E occorre farlo in modo condiviso, gioioso e fondando quel cammino sulla volontà di volersi liberare davvero da schemi mentali e preconcetti. Questo cammino non lo si può fare da soli (siamo animali sociali), ma nemmeno in coppie formato famiglia (la cultura della coppia e la famiglia sono invenzioni culturali funzionali al controllo delle popolazioni). Tanto meno questo cammino lo si può fare nell’affollamento indiscriminato di chi si aggrega tanto per essere alternativo (Aggregare: dal latino aggregàre, derivativo di grex gregis: “unire al gregge”). In fondo, siamo animali sociali, ma molto selettivi e destinati ad essere attorniati da persone care, non da chiunque (io Burioni con me non lo voglio!!!).
Occorre insomma mobilitarsi in maniera consapevole assieme a chi percepisca il nostro stesso bisogno di ritrovarsi e abbia davvero voglia di mettersi in gioco per diventare parte di un progetto pratico gigantesco che aspira a farci ritornare soggetti attivi e amanti di una vita viva. In Emilia-Romagna esiste già una piccola realtà di persone che ha cominciato a muoversi proprio in questa direzione, ben prima di quest’ultimo attacco della Scientocrazia alla nostra libertà: niente di risolutivo, forse; ma il bisogno di iniziare a mettere fuori di noi tutto ciò che ci sta annientando, è naturale e irrefrenabile. Perché vivere è un piacere, una meraviglia! Non è uno strazio da sopportare o un intermezzo molesto da far passare in fretta; non è un programma televisivo da guardare passivamente o una app da scaricare sullo smartphone. E non è nemmeno un servizio a pagamento o un regalo che i governi, le lobby e i poteri forti del mondo concedano senza contropartite. Come hanno sempre detto gli anarchici: “la libertà si conquista, non si mendica”. Dobbiamo ritornare a lottare per riprenderci in mano la nostra vita!
Enrico Manicardi
NB) Sul tema Coronavirus si ascoltino anche le interviste rilasciate da Enrico Manicardi a diverse radio locali, e caricate su questo sito (sezione “Interviste radio e tv” – parte “Audio”).
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[1] Cfr. J. RIFKIN, Ecocidio. Ascesa e caduta della cultura della carne (1992), Mondadori, Milano 2005, pag. 286.
[2] Riportato in: S. LATOUCHE, Il mondo ridotto a mercato (1992-97), Edizioni Lavoro, Roma 1998, pag. 104.
[3] Riportato in: C. MERCHANT, La morte della natura (1980), Garzanti, Milano 1988, pag. 222.
[4] Cfr. J. RIFKIN, Ecocidio, cit., pag. 287.
[5] Cfr. E. MANICARDI, Liberi dalla civiltà. Spunti per una critica radicale ai fondamenti della civilizzazione: dominio, cultura, paura, economia, tecnologia, Mimesis, Milano – Udine 2010, pagg. 132-133.
[6] Cfr. G. GALILEI, Il saggiatore (1623), in: G. GALILEI, Opere, Utet, Torino 1964, pag. 631ss.
[7] Cfr. R.D. LAING, The voice of experience (1982). Riportato in: F. CAPRA, Il punto di svolta. Scienza, società e cultura emergente (1982), Feltrinelli, Milano 1987, pag. 49.
[8] Cfr. GREEN ANARCHY, Introduzione al pensiero e alla pratica anarchica di anticivilizzazione (2004), Nautilus, Torino 2004, pag. 19. (L’uso del corsivo è mio).
[9] Riportato in: https://aforismi.meglio.it/aforisma.htm?id=28a2
[10] Cfr. M. FUKUOKA, La fattoria biologica (1985), Edizioni Mediterranee, Roma 2001, pag. 56.
[11] Ibidem, pag. 81.
[12] Cfr. E. MANICARDI, Liberi dalla civiltà, cit., pag. 137.
[13] Ibidem, pag. 138.
[14] Cfr. M. FUKUOKA, La fattoria biologica, cit., pag. 72.
[15] Cfr. J.G. FRAZER, Il ramo d’oro (1890), Newton & Compton, Roma 1999, pag. 72.
[16] Ibidem, pag. 72.
[17] Cfr. T. DANTZIG, Il numero. Linguaggio della scienza (1930), La Nuova Italia, Firenze 1973, pag. 241.
[18] Riportato in: C. BENATTI, Sanità obbligata, Macro Edizioni, Diegaro di Cesena 2004, pag. 13.
[19] Cfr. E. MANICARDI, Io voto, tu voti, egli comanda! La Politica non è neutrale, in: J. ZERZAN – E. MANICARDI, Nostra nemica civiltà. Frammenti di resistenza anarchica alla civilizzazione, Mimesis, Milano – Udine 2018, pag. 286.
[20] Ibidem, pag. 286.
[21] Cfr. S. RIDOLFI, Pandemia dichiarata, soggiogamento delle popolazioni, soppressione della libertà di parola: intervista a Francesco Benozzo, in «Libri e parole» del 31 marzo 2020. In: https://librieparole.it/zibaldone/1569/francesco-benozzo-intervista-pandemia-covid-19/
[22] Ibidem.
[23] Cfr. AGCOM, Delibera N. 129/20/CONS: Atto di richiamo sul rispetto dei principi vigenti a tutela della correttezza dell’informazione con riferimento al tema “coronavirus COVID-19”, del 18 marzo 2020, in: https://www.agcom.it/documents/10179/17914778/Delibera+129-20-CONS/2d750507-644c-44f4-8abf-1a93322daef4?version=1.0
[24] FNOMCeO, Comunicazione n.37. Indicazioni messaggi sui social. Prot. N.3638/2020 del 11 marzo 2020, in: https://portale.fnomceo.it/comunicati_ordini/com-n-37-indicazioni-messaggi-sui-social-prot-n-3638-2020-del-11-03-2020/
[25] URCOFER, Comunicazione del 31 marzo 2020.
[26] Cfr. A. ZINITI, Multe crudeli, casi limite ed errori: ecco lo Stato sceriffo, in «La Repubblica» del 18 aprile 2020, in: https://www.repubblica.it/cronaca/2020/04/19/news/multe_crudeli-254404997/?refresh_ce
[27] Ibidem.
[28] Ibidem.
[29] Ibidem.
[30] Cfr. per tutte: IL RESTO DEL CARLINO, “Compravo il giornale, mi hanno multato”, ne «Il Resto del Carlino», Reggio Emilia, del 17 aprile 2020, in: https://www.ilrestodelcarlino.it/reggio-emilia/cronaca/giornale-multa-1.5112320
[31] Cfr. S. RIDOLFI, Pandemia dichiarata, soggiogamento delle popolazioni, soppressione della libertà di parola: intervista a Francesco Benozzo, cit.
[32] Cfr. BYOBLU, Da questo stato di eccezione non si torna indietro. Intervista a Ugo Mattei, del 10 marzo 2020, in: https://www.byoblu.com/2020/03/10/da-questo-stato-di-eccezione-non-si-torna-indietro-ugo-mattei-byoblu24/
[33] Cfr. RADIO 11.11, Virus 2020. Cittadini reclusi, allarme mediatico. Una gran parte della medicina ufficiale cerca di imbavagliare scienziati onesti e liberi, trasmissione andata in onda il 14 aprile 2020. Riportata in: https://www.spreaker.com/user/webradio11-11/virus-2020-cittadini-reclusi-allarme-med
[34] DIPARTIMENTO DELLA PROTEZIONE CIVILE, COVID-19 Italia – Monitoraggio della situazione, in: http://opendatadpc.maps.arcgis.com/apps/opsdashboard/index.html#/b0c68bce2cce478eaac82fe38d4138b1
[35] Ibidem.
[36] Cfr. IL FATTO QUOTIDIANO, Coronavirus – In Svezia limiti ai farmaci e stop a visite negli ospizi, ma bar e scuole restano aperti. I medici: “Ci portano alla catastrofe”, in «Ilfattoquotidiano.it» del 2 aprile 2020. Riportato in: https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/04/02/coronavirus-in-svezia-limiti-ai-farmaci-e-stop-a-visite-negli-ospizi-ma-bar-e-scuole-restano-aperti-i-medici-ci-portano-alla-catastrofe/5757754/
[37] Cfr. REDAZIONE DI 5GNEWS, Tim estende la copertura 5G in Lombardia: ecco le città coinvolte, in «5GNEWS» del 8 dicembre 2019. Riportato in: https://www.5gnews.it/2019/12/08/tim-copertura-5g-lombardia-milano-brescia-monza/
[38] DIPARTIMENTO DELLA PROTEZIONE CIVILE, COVID-19 Italia – Monitoraggio della situazione: ultimo aggiornamento al 22/04/2020, ore 17:00, cit.
[39] ISTITUTO SUPERIORE DI SANITÀ, Epidemia COVID-19, aggiornamento nazionale del 16 aprile 2020, ore 16:00, in: https://www.epicentro.iss.it/coronavirus/bollettino/Bollettino-sorveglianza-integrata-COVID-19_16-aprile-2020.pdf
[40] ISTITUTO SUPERIORE DI SANITÀ, Caratteristiche dei pazienti deceduti positivi all’infezione da SARS-CoV-2 in Italia. Dati al 20 aprile 2020, in: https://www.epicentro.iss.it/coronavirus/bollettino/Report-COVID-2019_20_aprile.pdf
[41] Caso riferito durante: RADIO 11.11, Virus 2020, cit.
[42] Ibidem.
[43] Cfr. J.P.A. IOANNIDIS, A fiasco in the making? As the coronavirus pandemic takes hold, we are making decisions without reliable data. In: https://www.statnews.com/2020/03/17/a-fiasco-in-the-making-as-the-coronavirus-pandemic-takes-hold-we-are-making-decisions-without-reliable-data/
[44] Cfr. L. VAN DER POST, Il mondo perduto del Kalahari (1958), Bompiani, Milano 1960, pag. 16.
[45] Cfr. E. CASSIRER, Saggio sull’uomo. Una introduzione alla filosofia della cultura umana (1968), Armando, Roma 1996, pag. 162.
[46] Cfr. T. INGOLD, Ecologia della cultura (s.d.), Meltemi, Roma 2001, pag. 164.
[47] Cfr. T. INGOLD, On the social relations of the hunter-gatherer band, in. R.B. LEE – R. DALY (a cura di), The Cambridge Encyclopedia of hunters and gatherers, Cambridge University Press, Cambridge 1999, pag. 409.
[48] Cfr. L. VAN DER POST, Il mondo perduto del Kalahari, cit., pag. 239.
[49] Ibidem, pag. 248.
[50] Cfr. M. FINKEL, Gli Hadza, in: «National Geographic Italia», Dicembre 2009, pag. 26.
[51] Cfr. L. VAN DER POST, Il mondo perduto del Kalahari, cit., pag. 232.
[52] Ibidem, pag. 232.
[53] Cfr. G. CASTIGLIA, Lo tsunami e la globalizzazione, in: http://www.girodivite.it/article.php3?id_article=1550
[54] Intervista curata da Franco “il Daddo” Scarpino riportata in: http://www.daddo.it./survival.htm
[55] Cfr. M. TOZZI, Catastrofi, Rizzoli, Milano 2005, pagg. 27-28.
[56] Cfr. S. BUSSANI, Popoli Sconosciuti. Le tribù che vivono nelle Andamane e Nicobare, travolte dallo tsunami, in: http://www.peacereporter.net.